Mario Geymonat, Lorenzo Fort
Dialogare con il passato
Corso di lingua latina
Zanichelli editore -  Bologna

Guida alla traduzione

TACITO (55-117 d.C. circa)
(1) Clarorum virorum facta moresque posteris tradere, antiquitus usitatum, ne nostris quidem temporibus quamquam incuriosa suorum aetas omisit, quotiens magna aliqua ac nobilis virtus vicit ac supergressa est vitium parvis magnisque civitatibus commune, ignorantiam recti et invidiam. (2) Sed apud priores, ut agere digna memoratu pronum magisque in aperto erat, ita celeberrimus quisque ingenio ad prodendam virtutis memoriam sine gratia aut ambitione bonae tantum conscientiae pretio ducebatur. (3) Ac plerique suam ipsi vitam narrare fiduciam potius morum quam adrogantiam arbitrati sunt, nec id Rutilio et Scauro citra fidem aut obtrectationi fuit: adeo virtutes iisdem temporibus optime aestimantur, quibus facillime gignuntur. (4) At nunc narraturo mihi vitam defuncti hominis venia opus fuit, quam non petissem incusaturus: tam saeva et infesta virtutibus tempora.


Evidenziamo innanzitutto l’articolazione per avversative: sed apud priores... [2], at nunc... [4]. Tra i due periodi c’è una frase di passaggio (ac plerique... [3]), che rafforza il primo e prepara la contrapposizione del secondo, ove è reso esplicito il proposito dell’autore: narraturo (participio futuro con valore intenzionale) mihi vitam defuncti hominis, "a me che mi accingevo a narrare la vita di un uomo defunto".
Si tratta dunque di una biografia: in effetti è l’inizio della vita che Tacito scrisse di Agricola, un valente generale dell’età dei Flavi di cui egli era genero, distintosi nella conquista, nell’esplorazione e nella romanizzazione della Britannia, morto in circostanze poco chiare sotto l’imperatore Domiziano.
Rileggendo il primo periodo, notiamo che Tacito inserisce la sua opera fra due elementi separati e contrapposti: antiquitus, "anticamente", e nostris temporibus, "nei nostri tempi". Un altro dato che risalta è il ricorrere del termine virtus (magna aliqua ac nobilis virtus [1]; ad prodendam virtutis memoriam [2]; virtutes [3]; infesta virtutibus tempora [4]).

(1) Clarorum virorum facta moresque posteris tradere, antiquitus usitatum, ne nostris quidem temporibus quamquam incuriosa suorum aetas omisit...

Il periodo si apre con un’affermazione generale imperniata sull’infinito tradere. È una infinitiva la cui posizione preminente è sottolineata dalla lontananza rispetto alla reggente aetas omisit (è una modifica della disposizione consueta delle parole, un procedimento stilistico che viene chiamato con termine greco ipèrbato [Teoria, pp. 326-27]). La solennità dell’inizio è confermata dal suo porsi come affermazione di principio, priva di soggetto, e dal grandioso genitivo clarorum virorum, che mette in risalto la categoria degli "uomini illustri" entro la quale iscrivere il personaggio di cui si parla (chiamato semplicemente alla fine defunctus homo).
Facta moresque sono i due aspetti tradizionalmente contemplati dal biografo, l’uno poggiato sulla cronologia, la successione dei "fatti", delle "imprese", e l’altro sulla descrizione della figura morale. Posteris potrebbe essere dativo o ablativo: dal verbo tradere, "trasmettere", ricaviamo che è un dativo di termine, con cui l’autore indica di volersi rivolgere non tanto ai contemporanei quanto alle generazioni successive.
Antiquitus: di che termine si tratta? Malgrado la desinenza in -us non è un nome ma un avverbio (dall’aggettivo antiquus). E usitatum? a che cosa si riferisce? Il vocabolario registra sia il verbo usitor, frequentativo di utor (e quindi "mi servo spesso di"), che il participio con valore aggettivale usitatus ("consueto", "comune"). L’avverbio antiquitus ed il contesto ci portano a una interpretazione che sta nel mezzo: riferito come attributo all’infinitiva che precede (e perciò neutro), usitatum ha il pieno senso verbale di participio perfetto di usitor, con valore passivo anziché attivo (come sarebbe normale nei verbi deponenti), e quindi "compito assolto con assiduità".
Nostris... temporibus è un ablativo di tempo determinato che corrisponde (in antitesi e con un leggero gioco di variatio, la "variazione stilistica"), all’avverbio antiquitus. Ne... quidem è un avverbio doppio che mette in particolare evidenza il termine intermedio (nostris): ha il senso di "neppure" ed implica che si tratta di un’eccezione quasi inaspettata e paradossale ("perfino ai nostri tempi non" o, in altre parole, "non sono tempi, i nostri", nei quali ci si debba attendere il perpetuarsi dei buoni vecchi costumi).
Quamquam è una congiunzione che introduce di solito una vera concessiva; qui è appoggiata solamente a incuriosa, a sua volta attributo di aetas: l’espressione riprende con stringatezza l’idea implicita in ne nostris quidem temporibus... omisit, una negligenza o indisponibilità che si apre, tuttavia, ad alcune eccezioni. Incuriosa è un aggettivo formato dal prefisso in- (con valore spesso, ma non sempre, negativo) e da curiosus, collegato al verbo curare ("incurante"). Suorum è infine genitivo oggettivo, riferito ai personaggi "propri" del tempo, oggetti della trascuratezza.
Che cosa notare in questa prima parte del periodo? Isolato il verbo che la chiude (omisit), c’è simmetria fra:
a)  la proposizione oggettiva (facta moresque posteris tradere) da una parte, e il soggetto (aetas) dall’altra;
b)  il participio con funzione attributiva riferito alla frase oggettiva (usitatum) da una parte, e l’aggettivo riferito al soggetto (incuriosa) dall’altra.
L’espressione ne nostris quidem temporibus mette in risalto l’attualità del compito che sta a cuore allo storico, contrapposta al tempo remoto (antiquitus). Traduciamo: "Il trasmettere ai posteri i fatti e i costumi degli uomini illustri, anticamente compito assolto con assiduità, neppure in questi tempi la nostra generazione, benché incurante dei suoi contemporanei, lo omise".

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