A mente fredda
A mente fredda
L’ibernazione: dal mondo animale all’esplorazione spaziale
Il consumo energetico è ridotto quasi a zero, il metabolismo rallenta, i neuroni si scollegano, i tumori cessano di crescere: il corpo va in letargo. Orsi, scoiattoli e ghiri sopravvivono così alla stagione invernale.
E noi ci potremmo ibernare? Le ricerche degli ultimi 15 anni fanno pensare che sia possibile.
I geni necessari a sopravvivere all’ibernazione dovrebbero essere presenti nell’uomo, anche se l’evoluzione ci ha fatto perdere la capacità di attivare questo stato.
La medicina potrebbe trarne grandi benefici: riducendo il bisogno di ossigeno del cervello, avremmo più possibilità di sopravvivere dopo un ictus, un arresto cardiaco o uno shock settico.
Anche le agenzie spaziali ne intravedono i vantaggi. Un equipaggio di astronauti ibernati potrebbe, infatti, raggiungere Marte con meno cibo e acqua, evitando anche alterazioni della psiche legate alla lunga permanenza in un ambiente ristretto. Gli astronauti sarebbero anche protetti dai danni delle radiazioni cosmiche, dall’astenia muscolare e dall’osteoporosi che potrebbero insorgere in condizioni di microgravità.
Matteo Cerri è ricercatore in Fisiologia presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università di Bologna dove si occupa di ricerca sull’ibernazione. È associato all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, membro del Topical Team Hibernation dell’Agenzia Spaziale Europea e del direttivo della Società Italiana di Neuroetica.
È attivo nella divulgazione scientifica, ha partecipato a numerose TED Conference.