Insegnare per competenze
di Pier Cesare Rivoltella
Professore ordinario presso l’Università Cattolica di Milano insegna Didattica generale e Tecnologie dell'educazione. È direttore del CREMIT e Presidente della SIREM.
Tre le sue aree di ricerca: Media Education; didattica multimediale e dell’e-learning; consumi mediali giovanili.
Tre le sue aree di ricerca: Media Education; didattica multimediale e dell’e-learning; consumi mediali giovanili.
Dirige la rivista REM- Research on Education and Media e fa parte del comitato scientifico di diverse riviste specializzate. Tiene corsi in diverse università italiane e straniere. Ha pubblicato in Italia e all’estero oltre 30 libri, oltre 40 saggi in volume, oltre 100 articoli su riviste scientifiche.
Tra i suoi ultimi lavori ricordiamo: Ontologia della comunicazione educativa, Vita e Pensiero, Milano 2010; Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Raffaello Cortina, Milano 2012.
Ha un blog personale, Medialog: a place where it's possible to talk about Media, ICT and Education.
Ancora sulla “ricetta di Gardner”
Ritorno in questo post sulle cinque regole gardneriane per costruire una buona verifica, con le quali avevo chiuso il post precedente. Provo a spendere qualche parola in più su ciascuna spiegando meglio cosa con esse si intenda. Lo faccio sollecitato dal commento di una collega che sollevava qualche dubbio proprio in ordine alla formulazione di quelle regole.
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La nuova valutazione
Come abbiamo già accennato nei post precedenti, se si lavora per competenze gli strumenti per la valutazione non possono essere gli stessi.
Infatti, le competenze, per essere verificate, hanno bisogno di essere monitorate “in corso d’opera”, richiedono cioè quelli che si chiamano “compiti di performance”. Un compito di performance consente all’insegnante di osservare la competenza “in azione”, è una prova di processo, non di prodotto come invece sono le prove tradizionali.
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Valutare. Ma serve?
Il post della scorsa settimana può portare fuori strada.
Può far credere che adottare rubriche a supporto della valutazione sia un inutile aggravio burocratico dell’attività dell’insegnante.
Soprattutto – me ne sono accorto – può innescare alcuni dei luoghi comuni più diffusi tra gli insegnanti: ritenere che per valutare sia sufficiente il “buon senso” o che, in fondo, il tempo da dedicare alla valutazione sia “tempo perso” rientrano tra questi. Anzi, mi sento di poter dire che siano tra i più “classici”. Li si può ricondurre a due pedagogie implicite, per dirla con Bruner.
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Valutare le competenze con le rubriche
Riprendo in questo post la presentazione della struttura e dell’impiego delle rubriche.
Come ricorderete avevamo ragionato insieme sui loro elementi costitutivi, ovvero: dimensioni, criteri (traguardi formativi), indicatori (evidenze).
Questi tre elementi sono funzionali sostanzialmente a tre tipi di utilizzo:
1) consentono all’insegnante di organizzare la sua progettazione didattica sulla base delle competenze;
2) gli indicatori in particolare forniscono le evidenze sulle quali immaginare le attività da far svolgere in classe ai propri studenti;
3) infine sono sempre gli indicatori, nella misura in cui “indicano” (appunto) le evidenze osservabili in presenza delle quali verosimilmente si può pensare che lo studente stia sviluppando competenze (o “parti” di esse), a costituire anche il punto di partenza per la valutazione.
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I vantaggi del lavorare per competenze
Abbandono temporaneamente il percorso concettuale che ci ha già accompagnato, con i primi due post, dalla definizione della competenza alla introduzione della rubrica come strumento fondamentale dell’insegnante che voglia “lavorare per competenze”. Lo abbandono per riprendere i commenti che due colleghi hanno lasciato al primo post.
Lavorare per competenze con le rubriche
Come si lavora materialmente “per competenze” nella propria attività didattica?
La risposta, sintetica, è: utilizzando rubriche.
Una rubrica è una tabella che consente una considerazione sinottica di una serie di variabili.
Proviamo a vedere di cosa si tratti nel caso delle competenze. Immaginiamo di dover progettare la nostra didattica per sviluppare la competenza digitale, ovvero una delle otto competenze-chiave che concorrono a definire il Framework Europeo delle competenze di cittadinanza.
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Il “paradigma” delle competenze. Dove nasce? Cosa comporta?
Il concetto di competenza va di moda.
Con esso si indica spesso quello che viene definito un “nuovo paradigma” per la progettazione didattica e per la valutazione. Se poi, però, si va a ben vedere, ci si accorge che questo “paradigma” non è così “nuovo”. Esso affonda le proprie radici storiche nella cosiddetta “scuola di Chicago” (autori come Tyler e Bloom), già attiva prima della Seconda Guerra Mondiale, ed è la base della cosiddetta Evidence Based Education.
Cosa significa costruire l’istruzione sulle evidenze?
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