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 Modulo C: Roger e la psicologia umanistica

Il pensiero di Carl Rogers

Rogers (1967) delinea vari obiettivi per i quali l’individuo deve lottare. Per quanto non abbia mai aderito alla scuola psicoanalitica, anch’egli sviluppò la sua teoria in un contesto terapeutico di cura. Fra gli obiettivi che egli individua vi sono la «considerazione positiva del sé» e l’«essere il proprio organismo». I due obiettivi sono naturalmente correlati: di solito i pazienti hanno paura di essere il loro proprio organismo (ovvero il sé che essi sono in realtà − un’altra frase di Rogers) poiché essi non lo considerano positivo o forte, ma solo disonorevole e debole.
Il compito della terapia consiste nel promuovere la crescita del sé e Rogers ha sempre attribuito grande rilevanza terapeutica al fatto di stabilire il giusto rapporto coi clienti e di impegnarsi pochissimo nell’interpretare le affermazioni dei pazienti (diversamente dall’analisi ortodossa). Il terapeuta rogersiano tipico tenta piuttosto di rispecchiare le verbalizzazioni dei suoi clienti e pertanto trasmette il fatto che egli capisce, o almeno tenta di capire. Rogers afferma che sono le qualità che il terapeuta dà al rapporto quelle che contribuiscono od interferiscono con la tendenza naturale alla crescita del sé. I seguaci di Rogers hanno stabilito infatti un elenco notevole di risultati empirici, che sottolineano l’importanza di tre qualità, nel terapeuta, di estrema utilità per i clienti: empatia, calore e autenticità.
Più di recente Rogers si è interessato sempre più alle esperienze di gruppo che facilitano il conseguimento degli obiettivi che gli interessano.
La sua esperienza con i gruppi di incontro lo ha fatto includere nell’elenco degli psicologi cosiddetti umanisti. Ed ora concludiamo con una breve rassegna del movimento umanistico.

La psicologia umanistica

La psicologia umanistica è in realtà un termine comprensivo per descrivere un approccio alla psicologia, condiviso da numerosi psicologi contemporanei, secondo cui la concezione tradizionale dell’uomo, per il fatto di essere stato studiato scientificamente, è stata fuorviata. Essi affermano che l’uomo non è riducibile alla sua fisiologia, che egli non è un essere che risponde in modo meccanicistico o anche cognitivo agli stimoli, e infine, che non è il campo di battaglia di impulsi sessuali ed aggressivi. Per quanto questi approcci possano far luce in parte sul comportamento dell’uomo, essi, tutti, ignorano quello che ci è offerto direttamente: che noi siamo e sentiamo di essere delle persone. Ora le persone possono sentirsi più o meno reali, più o meno compiute, più o meno in rapporto con gli altri. Il pericolo delle concezioni tradizionali dell’uomo è, secondo la psicologia umanistica, che esse intervengono a determinare il modo in cui noi ci vediamo, come ci sentiamo, ed in definitiva (poiché esse trascurano la motivazione finale di una personalizzazione effettiva) facilitano la spersonalizzazione, la non realizzazione e l’alienazione generale che vediamo intorno a noi. In poche parole, possiamo affermare che vedere l’uomo, di seconda mano, attraverso il suo comportamento piuttosto che attraverso la sua esperienza è in definitiva vedere noi stessi indirettamente e non essere mai noi stessi.
Maslow (1959), che è uno dei principali precursori della psicologia umanistica, propone un numero di motivazioni ordinate gerarchicamente. Senza mettere in questione molte delle motivazioni discusse in questo libro, egli vi aggiungerebbe tuttavia, al vertice della gerarchia, la motivazione alla realizzazione di sé (self-actualization). Appare chiaro, dalla descrizione che Maslow fa della persona che si è autorealizzata, che le sue concezioni sono molto simili a quelle di Rogers relative al divenire sempre più quell’organismo che si è.
Vi sono molte ipotesi sulla natura umana implicite nei concetti usati dagli psicologi umanistici ed è troppo presto per giudicare il movimento. Tuttavia esso rappresenta uno sviluppo promettente nella psicologia moderna per due ragioni: la prima, come abbiamo visto, è che esso è un movimento ottimistico. La natura fondamentale dell’uomo, quando è liberato dalle sue false difese, si presume che sia non selvaggia ed incontrollabile (come temeva Freud), ma positiva, amorevole e socievole (Rogers, 1967). La seconda, proprio perché i fenomeni, le esperienze e i mutamenti personali avvengono in circostanze del tipo gruppi di incontro, gruppi di sensibilizzazione o altro, non significa che non possano ottenere una base scientifica (Rogers, 1971). Gli psicologi soltanto ora si stanno abituando all’idea che si possono ottenere dei dati utili e di rilievo scientifico chiedendo alla gente in che modo essi sperimentano il mondo che li circonda.

P. Evans, La motivazione, Zanichelli, Bologna 1983