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 Modulo F – Due punti di vista sulla motivazione al lavoro: Taylor e Mayo

La motivazione al lavoro
 
Dalla fine del diciannovesimo secolo le concezioni sulla motivazione al lavoro si sono drasticamente modificate. Secondo Taylor e gli altri portavoce dello scientific management solo il denaro assumeva il ruolo di forza motivante; essi cercarono di risolvere uno dei problemi principali di quel periodo, e cioè come estendere il grado di efficienza nelle grandi imprese, proponendo prescrizioni normative («il modo migliore») per massimizzare la produttività; ciò fu ottenuto attraverso il controllo del lavoro, la pianificazione, la realizzazione di unità di comando, la distribuzione chiara delle responsabilità e così via. In tal modo ogni organizzazione si definisce progressivamente secondo i termini usati per descrivere l’organizzazione formale; la chiave della progettazione organizzativa diviene l’estensione del controllo (inteso come il numero di subordinati di cui un dirigente è responsabile), e si crea un sistema basato su una struttura gerarchica piramidale e centralizzata.
Alla base di queste indicazioni normative si ritrova una serie di assunti sulla motivazione dei lavoratori che deriva dalle concezioni calviniste sul significato del lavoro. Secondo tali assunti gli individui non sono intimamente orientati verso il lavoro, pertanto solo il denaro li può indurre ad impegnarsi in una attività dura e faticosa; il lavoratore deve, cioè, essere continuamente sollecitato per conseguire i risultati previsti dal lavoro poiché di natura egli è pigro, privo di iniziativa e accetta malvolentieri qualche responsabilità. Pertanto gli studi sui tempi e metodi risultano essenziali per compensare queste «qualità» e adattare il soggetto al lavoro in modo tale che questi usi la quantità più piccola possibile di energia per produrre il massimo di lavoro.
 
Le ricerche di Hawthorne
 
Le ricerche di E. Mayo, effettuate alla Western Electrics negli Stati Uniti negli anni ’30 e raccolte da Roethlisberger e Dickson (1939), hanno modificato le precedenti indicazioni dello scientific management, adottando il principio «del bastone e della carota», che preannunciò lo sviluppo del movimento delle «relazioni umane».
Questi studi mettono in risalto l’importanza dei fattori sociali per l’andamento del lavoro e l’influenza delle norme del gruppo informale sulla soddisfazione e la produttività. All’inizio essi si erano proposti di investigare gli effetti dell’illuminazione, delle pause e della durata della giornata lavorativa sull’efficienza di operai addetti all’assemblaggio di componenti elettriche; tuttavia non fu trovata alcuna correlazione significativa; anzi, in alcune condizioni (ad esempio modificando il livello di illuminazione) il livello di produttività aumentava indipendentemente dal tipo di manipolazione delle variabili; in altri casi si avevano consistenti modifiche nella produzione difficilmente spiegabili. Alcuni esperimenti di controllo e le interviste con gli stessi operai permisero di riconoscere che i gruppi informali, nati all’interno dell’organizzazione, avevano una notevole influenza sugli atteggiamenti individuali e sulla stessa prestazione lavorativa. Inuno degli studi parziali che sono compresi nella serie delle ricerche di Hawthorne, si riuscì a scoprire la ragione di un decremento della produzione. I soggetti operanti nella «saletta di montaggio» venivano pagati con un sistema a cottimo collettivo per l’intero reparto, in modo tale che il guadagno di ciascuno dipendeva dalla produzione di ogni altro compagno dello stesso reparto. Si poté confermare che i lavoratori più veloci tendevano a diminuire il loro prodotto per mantenersi entro i limiti standard definiti all’interno del gruppo informale.
Le ricerche di Hawthorne hanno subìto, nel corso del tempo, numerose critiche; ad esempio, Carey (1967) afferma che non è possibile trarre delle conclusioni definitive poiché in queste ricerche emergono notevoli insufficienze metodologiche e gli stessi dati non sostengono le considerazioni degli autori.
Tuttavia questi studi hanno avuto un’importanza decisiva per superare la precedente concezione dell’«homo oeconomicus», esclusivamente motivato da interessi monetari; inoltre i lavoratori cominciano ad essere concepiti non più come rispondenti passivi a incentivi esterni ma come soggetti attivi, che si organizzano in gruppi, capaci di generare norme che hanno un peso per la produzione. I soggetti sembrano trovare e stabilizzare la propria identità all’interno del gruppo, il quale mostra un «potere sociale» più consistente di quello degli stessi dirigenti.
Sebbene queste indicazioni rappresentino un oggettivo avanzamento rispetto al livello di conoscenza precedente esse non costituiscono un punto di vista completo e definitivo. Nella stessa pratica quotidiana si vede come molti individui non percepiscano l’importanza del gruppo o, addirittura, si discostino dagli standard fissati, producendo più della media. Gli studi di Maslow e Herzberg hanno inteso approfondire proprio questo aspetto delle differenze individuali.
 
D.R. Davies, V.J. Shakleton, Psicologia e lavoro, Zanichelli, Bologna 1981