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 Modulo G – L'”anomia” da urbanizzazione nella scuola di Chicago

Nei primi trent’anni del secolo, un gruppo di sociologi sotto la guida di un ex giornalista, Robert Park, ha condotto una notevole quantità di ricerche importanti sulla vita urbana a Chicago. Gran parte del lavoro era centrato sulla disorganizzazione sociale (delinquenza, povertà, precarietà, fallimenti familiari) che si verificavano nella metropoli in rapida espansione. In una certa misura questa immagine di Chicago in fermento ha dato forma alla loro visione della vita urbana in genere.
Uno dei maggiori esponenti della «scuola di Chicago», Louis Wirth, cercò di spiegare come mai le città e i loro abitanti sembravano mostrare tali modelli, che egli definì «anomici», e che esprimono la condizione di persone senza forti legami sociali fra loro, e le cui norme (regole di comportamento) e i cui valori avevano in sé ben poca forza morale.
Secondo Wirth, questa condizione urbana era il risultato della natura stessa della città, definita come «un insieme relativamente esteso, denso e permanente di individui socialmente eterogenei».
Densa eterogeneità significa che molti tipi di persone debbono in qualche modo adattarsi a vivere in contatto e competizione continua. Una forma primaria di adattamento è la specializzazione. Esiste una specializzazione fisica dello spazio sotto forma di segregazione: si sviluppano tipi diversi di quartieri («aree naturali») a carattere industriale, residenziale, commerciale, e diverse aree etniche (Little Italy, quartieri negri, ecc.). Esiste anche una differenziazione di funzioni: lavori altamente specializzati, servizi e affari si sviluppano come modo migliore per massimizzare la produzione.
A livello individuale le persone debbono adattarsi ad essere costantemente in compagnia di altre che esprimono opinioni diverse ed hanno modi d’essere e abitudini differenti. La modalità di fondo dell’adattamento è quella di stabilire delle distanze dagli altri. Si arriva a conoscere le altre persone solo in modi «segmentati» e «impersonali». Ad esempio, un «cittadino» conosce un commesso di negozio solo nel suo ruolo di commesso e non come genitore, vicino, presbiteriano o cittadino, e lo stesso vale per il passeggero accanto nell’autobus, il compagno di lavoro o il vigile. Le relazioni di un «cittadino» con i suoi concittadini sono in tal modo «superficiali» e «transitorie», e ciò è inevitabile: come ci si può mettere in relazione con così tanta gente in modo personale? Scompare l’intimità e le persone hanno un modo piuttosto disinvolto di sfruttarsi l’un l’altra.
Allo stesso modo, l’identità propria di ciascun individuo viene ad essere frantumata con la grande specializzazione, frutto della densità: il suo lavoro è un certo posto, un certo mondo, la sua casa un altro posto e un altro mondo, e così il tempo libero e gli amici un altro ancora: l’individuo è in costante movimento da un mondo all’altro.
In un simile ambiente sociale di alienazione interpersonale e di frammentazione personale occorre trovare dei mezzi di regolazione delle interazioni fra persone. Le istituzioni formali diventano più importanti dei legami personali, i tribunali e la polizia sostituiscono la pressione sociale, le agenzie di collocamento i contatti personali, le agenzie matrimoniali soppiantano i compari che combinano matrimoni, gli affari vengono basati sulla carta di credito invece che sulla fiducia personale, la produzione in serie sostituisce la prestazione individuale.
Gli atteggiamenti che fanno da corollario ad una società così formale sono la razionalità, la sofisticatezza ed una prospettiva di indifferenza. Il cittadino deve tollerare le differenze, deve prendere le distanze dal corso degli eventi che lo circondano: uno dei risultati è che questi «cittadini» distaccati possono usarsi a vicenda come oggetti nel modo razionalmente più proficuo.
Una vita così razionale e depersonalizzata serve a tenere migliaia di persone in una sorta di ordine funzionale. Ma c’è un prezzo da pagare: l’anomia. In un ambiente estraniato, dove neanche ci si guarda, la regolazione del comportamento della gente può essere al massimo accidentale. Quando si attribuisce importanza alla tolleranza e alla razionalità riguardo alle differenze, le norme fondamentali e i valori vengono messi in discussione, perdono il loro peso morale e vengono violati. Quando un uomo è solo nella folla, non c’è sostegno o guida sociale che serva a mantenergli la sua personalità, quando sono le regole anziché i legami sociali che mantengono l’ordine, non c’è alcun «senso della comunità» e quel genere di ordine è davvero precario.
Questa delicata struttura sociale mostra dunque costantemente sintomi di anomia: disorganizzazione sociale, rottura dei legami familiari e di parentela, crimini e violenza irrazionali.

K. Scherer, R. Abeles, C. Fischer, Aggressività umane e conflitto, Zanichelli, Bologna 1981