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  Prezzi troppo bassi: è concorrenza sleale? La parola alla Cassazione

Torna all’attenzione della giurisprudenza il tema della vendita sottocosto, detta anche predatory pricing.

Nel caso risolto con l’ordinanza n. 2980 del 7 febbraio 2020, la Sezione I della Corte di Cassazione recupera un orientamento che sembrava superato circa la valutazione dei comportamenti di concorrenza sleale parassitaria.
Secondo l’art. 2598 comma 1, n. 3 del codice civile commette atti di concorrenza sleale chiunque “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Quando è possibile ritenere che l’applicazione di prezzi al ribasso sia contraria alla correttezza professionale?

Il predatory pricing consiste in una politica aggressiva di abbassamento dei prezzi rispetto ai costi di produzione dei beni, condotta che, a determinate condizioni, è in grado di produrre un’alterazione della concorrenza sul mercato.
Ci si riferisce sia al comportamento tenuto da un imprenditore che operi già in un mercato tendente al monopolio, sia all’imprenditore che adotti stabilmente la pratica per conquistare e successivamente rafforzare una posizione dominante.
Il pericolo è che in ragione della fisiologica maggiore disponibilità di risorse rispetto ai concorrenti “minori”, l’imprenditore dominante possa decidere di applicare prezzi a sé sfavorevoli (cd. non remuneratori) accettando di subire perdite economiche al fine di impedire l’accesso al mercato di nuovi concorrenti o allo scopo di escludere quelli esistenti.

La censurabilità di questi comportamenti è sensibile rispetto al tema della libertà di iniziativa economica prevista dall’art. 41 Costituzione secondo cui l’organizzazione e la gestione del rischio di impresa (e di tutte le decisioni a questo collegate) dovrebbe appartenere esclusivamente all’imprenditore. A differenza di altre pratiche commerciali scorrette, inoltre, la vendita sottocosto di per sé non lede gli interessi dei consumatori (che anzi, acquistano beni risparmiando) o almeno non in modo diretto.

Spesso, inoltre, l’oscillazione dei prezzi (abbassamenti stagionali, scontistica occasionale, diminuzione dei costi di produzione, ecc.) è uno strumento lecito, in grado di produrre effetti positivi sia per l’imprenditore che attua la strategia, sia per il mercato, stimolato alla concorrenza.
Il limite di queste condotte va quindi inquadrato nell’interesse al buon funzionamento della concorrenza, interesse che impone di reprimere le condotte di abuso di posizione dominante.

L’ordinanza della Cassazione rigetta il ricorso nel merito chiarendo che, perché si possa censurare il comportamento, occorre che sia raggiunta la prova non solo dell’elemento soggettivo (l’intento dell’imprenditore), che da sola sarebbe considerata una probatio diabolica, ma di ulteriori elementi oggettivi. Il comportamento deve essere posto in essere:

  • da una impresa in posizione dominante
  • con finalità predatorie.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 2, pp. 13-14
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 1, pp. 318-324
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 2 pp. 340-342

 

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