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  Contratti commerciali sospesi durante la pandemia: quando è inadempimento?

La temporanea sospensione delle attività economiche apre più di una riflessione sulla sorte dei contratti pendenti.
Fin dall’entrata in vigore del DPCM dell’11 marzo, integrato in misura più restrittiva dal successivo del 22 marzo, le imprese italiane hanno dovuto fare i conti con la gestione dello stato di emergenza.
La contingenza Coronavirus ha imposto in un primo momento (prima dello stop forzato del 22 marzo) l’impiego dei valori produttivi necessari a mettere in sicurezza i posti di lavoro, fornire dispositivi di protezione ai lavoratori coinvolti, impiegare sistemi per il lavoro a distanza (smart working).
Se in questa prima fase il problema sembrava l’individuazione di possibili cause giustificanti il ritardo nell’esecuzione dei contratti, con l’interruzione forzata disposta dal successivo DPCM per molte imprese la sospensione delle prestazioni contrattuali pone il problema della responsabilità da inadempimento.

Professionisti e imprese restano debitori delle prestazioni contrattuali cui si erano obbligati?
La norma di riferimento è l’art. 1256 del codice civile:

L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.

I caratteri dell’impossibilità sopravvenuta sono l’oggettività e l’assolutezza, nonché la dipendenza da cause estranee al singolo debitore.
L’emergenza sanitaria va senz’altro considerata quale circostanza imprevedibile e sopravvenuta e comporta, in molti casi, l’impossibilità temporanea di eseguire le prestazioni.
In questo senso la soluzione va diversificata a seconda del settore economico di riferimento.

  • Per tutte le imprese escluse dall’elenco delle attività consentite dal DPCM del 22 marzo, l’unica strada possibile è la temporanea sospensione dei termini contrattuali dato che in questi casi l’impossibilità temporanea deriva direttamente dall’atto normativo.
    Nei casi in cui al termine dell’emergenza i creditori di queste imprese non avessero più interesse alla prestazione (o perché impossibile l’adempimento tardivo o perché inutile) la strada da percorrere sarà quella della risoluzione di diritto (con conseguente restituzione dei corrispettivi eventualmente ricevuti).

 

  • Più dubbi per i contratti con le imprese che possono invece continuare ad operare. L’emergenza sanitaria comporta, anche in assenza di un divieto normativo espresso, conseguenze di gestione imprevedibili sulle singole attività e legati a scelte economiche obbligate (prestazioni cancellate perché improvvisamente eccessivamente onerose, beni la cui produzione viene limitata per sostenere il principio di economicità, ecc.). La sorte di questi contratti dipende da valutazioni legate al caso concreto.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 1, pp. 174-180
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 1, pp. 130-136

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