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Legenda

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  Il Governo ungherese di Viktor Orbán ha assunto pieni poteri: una minaccia allo stato di diritto?

Il 30 marzo 2020 il presidente della Repubblica Jànos Ader ha promulgato la legge, voluta dal capo del governo Victor Orbàn e approvata dal Parlamento, che ha conferito poteri straordinari al governo ungherese per affrontare l’epidemia da COVID-19.
Si tratta di una legge-cardine da adottarsi con la maggioranza dei 2/3, e che integra in via ordinaria il sistema costituzionale.
La domanda allora che ci si deve porre è se questa scelta sia compatibile con il principio dello Stato di diritto e con i valori fondamentali.

Cosa si intende per stato di diritto?
Lo Stato di diritto è un modello organizzativo comune a tutti gli Stati membri UE per disciplinare l’esercizio dei pubblici poteri.
È il principio per cui tutti i pubblici poteri devono agire entro i limiti fissati dalla legge, rispettando i valori della democrazia e dei diritti fondamentali, e sotto il controllo di un giudice indipendente e imparziale.
In particolare, l’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea include tale principio tra i valori fondanti l’UE insieme al rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.
Il rispetto del principio dello stato di diritto, tra l’latro, è uno dei requisiti richiesti dall’Unione Europea nel momento in cui uno Stato vuole entrare a far parte dell’UE.
La scelta, dunque, di accordare al Capo del Governo ungherese pieni poteri non è conforme a tale principio.

Quale sarebbe il rischio?
Consentire ad un solo soggetto di poter varare qualsiasi provvedimento, per un tempo indefinito e con la possibilità di ulteriori proroghe, mette a repentaglio i diritti fondamentali.
Il potere potrebbe essere utilizzato per porre in essere riforme che ledono o limitano i diritti costituzionali dei soggetti, per approvare leggi derogando al principio di democraticità che richiede necessariamente che una legge sia il risultato della dialettica parlamentare tra minoranza e maggioranza.

Quali sono le azioni dell’UE per evitare o sanzionare il rischio di violazioni di diritti fondamentali?
Già nel 2013 il Parlamento europeo, a seguito di riforme inerenti al sistema giudiziario, si era occupato della questione ungherese in relazione alla situazione dei diritti fondamentali.
Una successiva risoluzione del Parlamento europeo del 12 settembre 2018 a fronte di un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione, rinvenuto in una pluralità di campi, tra cui anche la libertà di espressione, ha invocato l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1 del Trattato sull’Unione europea.

In cosa consiste il meccanismo di applicazione dell’art. 7 TUE?
L’art. 7 TUE prevede due meccanismi: uno per le misure preventive, se c’è un chiaro rischio di violazione dei valori UE, e uno per le sanzioni, se la violazione è avvenuta.
Le sanzioni non sono definite chiaramente dai trattati ma possono includere la sospensione del diritto di voto a livello del Consiglio dell’Unione europea e del Consiglio europeo, o anche la sospensione di finanziamenti dell’Ue a quel determinato Statto membro.
In entrambi i casi la decisione finale spetta ai rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio europeo, ma il quorum è diverso a seconda della situazione.
Per quanto riguarda il meccanismo preventivo la decisione in seno al Consiglio richiede la maggioranza dei quattro quinti degli stati membri, mentre in caso di violazione è necessaria una decisione all’unanimità dei capi di stato e di governo.

Quali sono gli altri strumenti?

Un altro possibile rimedio è quello della procedura di infrazione, strumento indispensabile per garantire il rispetto e l’effettività del diritto dell’Unione.
La decisione relativa al suo avvio è una competenza esclusiva della Commissione.
La procedura si divide in due momenti:

  • precontenzioso: la Commissione europea rileva la violazione di una norma UE, procede all’invio di una lettera di messa in mora, concedendo allo Stato un termine di due mesi entro il quale presentare le proprie osservazioni
    La violazione contestata può consistere nella mancata attuazione di una norma europea oppure in una disposizione o in una pratica amministrativa nazionali che risultano con essa incompatibili.
    Qualora lo Stato membro non risponda alla lettera di messa in mora nel termine indicato oppure fornisca alla Commissione risposte non soddisfacenti, quest’ultima può emettere un parere motivato con il quale cristallizza in fatto e in diritto l’inadempimento contestato e diffida lo Stato a porvi fine entro un dato termine.
    Nel caso in cui lo Stato membro non si adegui al parere motivato, la Commissione può presentare ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia.

 

  • contenzioso: se la Corte di Giustizia accerta che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del Trattato, questo è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta, ponendo fine all’infrazione.
    Le sanzioni consistono in una somma forfettaria e in una penalità di mora, adeguate alla gravità e alla persistenza dell’inadempimento.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Monti – Faenza, Res publica 4ed, pp. 85 – 106
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3, pp. 12 – 22

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