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  Il concorso di tutele a favore del titolare di un modello contraffatto: la conferma della Corte di cassazione

Prima di procedere all’analisi della pronuncia, richiamiamo alcune nozioni fondamentali.

Il Codice della proprietà industriale (d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) disciplina in modo organico la tutela dei diritti di proprietà industriale (che comprende marchi e altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazione di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, ecc.).

I disegni e i modelli permettono la tutela dell’aspetto estetico o decorativo di un prodotto attraverso la loro registrazione. Con la registrazione, il titolare ottiene il diritto all’utilizzo esclusivo e il divieto di utilizzo da parte dei terzi senza il proprio consenso (art. 41 c.p.i.). La registrazione – che si effettua presentando domanda presso una Camera di commercio o all’Ufficio italiano brevetti e marchi – dura 5 anni ed è prorogabile, su richiesta del titolare, fino a un massimo di 25 anni.
Ricordiamo che per poter essere registrato, un disegno o modello deve essere nuovo, deve avere carattere individuale ed essere lecito.
È soprattutto la nozione di “carattere individuale” che contraddistingue il disegno o modello. Per carattere individuale si intende l’idoneità a suscitare nell’utilizzatore informato un’impressione generale diversa da quella suscitata da qualsiasi altro modello o disegno divulgato in precedenza.

Commette una contraffazione il soggetto che violi un diritto di proprietà intellettuale o industriale mediante la riproduzione illecita di un bene e la relativa commercializzazione.

Sul piano civilistico, chi viene danneggiato da una contraffazione da parte di un concorrente può agire in vari modi.

  • In primo luogo, può azionare la disciplina a tutela dei disegni o modelli prevista dal Codice della proprietà industriale.
    Questa disciplina consente al titolare di un diritto di proprietà industriale di esperire l’azione di risarcimento del danno e ottenere la restituzione dei profitti dell’autore della violazione (art. 125 c.p.i.); può chiedere la descrizione o il sequestro dei beni nonché dei mezzi adibiti alla produzione degli stessi (art. 129 c.p.i.), e l’inibitoria della fabbricazione, commercio od uso di ciò che costituisce violazione del diritto, nonché di ritirare tali prodotti dal commercio (art. 131 c.p.i.).
    Il giudice può inoltre ordinare anche la pubblicazione della sentenza (art. 126 c.p.i.).
  • In secondo luogo, il titolare del diritto di proprietà industriale può ricorrere alla disciplina generale della concorrenza sleale prevista dagli artt. 2598 e seguenti del codice civile. In particolare, l’imitazione servile rappresenta una delle ipotesi di concorrenza sleale confusoria, che può essere definita come la riproduzione fedele e pedissequa di prodotti o segni altrui.
    Affinché si abbia imitazione servile non basta che vi sia la riproduzione di caratteristiche specifiche di un prodotto altrui, ma che ci sia una concreta potenzialità confusoria tra i due prodotti. E questo può succedere quando l’elemento imitato sia percepibile dal consumatore medio, in quanto dotato di un’efficacia distintiva tale da renderlo un segno di riconoscimento di una data impresa.

 

Torniamo alla sentenza.

La pronuncia riguardava una società che aveva chiamato in giudizio una sua concorrente affermando che quest’ultima avesse commercializzato alcuni sandali che costituivano copia di propri prodotti, oggetto di alcuni modelli italiani registrati e comunitari non registrati. In particolare, la società attrice lamentava la contraffazione dei modelli e la concorrenza sleale per imitazione servile.

Il giudice d’appello, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale, aveva rigettato la domanda nella parte relativa all’illecito concorrenziale, riducendo così l’ammontare del risarcimento del danno stabilito dal giudice di primo grado. La Corte d’appello riteneva infatti che la domanda di concorrenza sleale fosse basata sugli stessi elementi di prova posti a fondamento della domanda relativa alla contraffazione, generando così una duplicazione della domanda, non consentita.

La Corte di cassazione ha invece confermato la possibilità di cumulare le due distinte tutele nell’ipotesi di contraffazione del modello, purché il prodotto abbia una forma individualizzante, tale da essere percepibile dal consumatore medio (disciplina codicistica della concorrenza sleale), oltre che dall’utilizzatore informato (disciplina del codice per la proprietà industriale).

È compito del giudice di merito accertare che i due prodotti siano o meno confondibili.
Il limite al concorso di queste tutele, così come segnalato dalla Cassazione, consiste nella necessità che la concorrenza sleale per imitazione servile di cui all’art. 2598 c.c. riguardi non la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo quella che ricada su caratteristiche esteriori del prodotto dotate di efficacia individualizzante. Solo in questa ipotesi ci sarà una capacità distintiva tale da correlare il prodotto a una certa impresa.
Nel caso di specie, la Cassazione non ha ritenuto sussistenti entrambi gli illeciti per il sol fatto che il giudice di merito si era pronunciato sulla non confondibilità dei due prodotti. Elemento che è stato ritenuto escludente l’illecito concorrenziale confusorio.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 2, pp. 13-14
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 1, pp. 318-324
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 1, pp. 309-310
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 2 pp. 340-342
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 2, pp. 23-24

 

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