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  La Corte costituzionale rinvia al 2021 la decisone sul carcere per la diffamazione a mezzo stampa

L’oggetto di giudizio: il carcere per diffamazione a mezzo stampa
La diffamazione, punita dall’art. 595 del codice penale con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro, è il reato compiuto da chi offende l’altrui reputazione, in assenza dell’offeso e in presenza di almeno due persone. Se però l’offesa è recata col mezzo della stampa, o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena si alza: reclusione da sei mesi a tre anni o multa, non inferiore a 516 euro. Qualora poi l’offesa, oltre ad essere realizzata con il mezzo della stampa, è realizzata mediante l’attribuzione ad una persona di un fatto determinato, si applica la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1948, che dispone l’applicazione della pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a euro 256.

La decisione della Corte nasce da un processo davanti al Tribunale ordinario di Salerno (giudice a quo). Oggetto del processo era l’accertamento della responsabilità penale di P. N., imputato del delitto di diffamazione a mezzo stampa, e di A. S., imputato in quanto direttore e responsabile per omesso controllo, per aver attribuito alle persone offese un fatto non corrispondente al vero alla luce degli atti di indagine dell’autorità giudiziaria (l’affiliazione a un sodalizio mafioso).

La questione
Il dubbio rappresentato dal Tribunale ordinario di Salerno è che il trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 595 del codice penale e dalla legge n. 47 del 1948 sia in contrasto con diverse disposizioni costituzionali: artt. 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
La libertà di espressione infatti è tutelata, oltre che dall’art. 21 Cost., anche dall’art. 10 CEDU, e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di affermare che la previsione, anche solo in astratto, della pena detentiva per i delitti di diffamazione a mezzo stampa è contraria a questa libertà (sentenze Sallusti contro Italia e Belpietro contro Italia).

Il sistema sanzionatorio che risulta dall’art. 595 e art. 13 della legge n. 47 del 1948, sarebbe in contrasto anche con l’art. 21 e 3 Cost., perché la previsione della pena detentiva per i reati di diffamazione a mezzo stampa sarebbe “manifestamente irragionevole e totalmente sproporzionata rispetto alla libertà di manifestazione di pensiero, anche nella forma del diritto di cronaca giornalistica”.

Il Tribunale di Salerno, ritiene poi che la previsione della pena detentiva sarebbe in contrasto anche con il principio di offensività, ricavabile dall’art. 25 Cost., «in quanto totalmente sproporzionata, irragionevole e non necessaria rispetto al bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici in questione, ovvero il rispetto della reputazione personale», e all’art. 27, terzo comma della Cost., perché la pena prevista, essendo sproporzionata, sarebbe anche in contrasto con la funzione rieducativa della pena.

La decisione
Tutti questi dubbi vengono sottoposti al giudizio della Corte, che li ha affrontati nell’udienza pubblica del 9 giugno 2020, in cui ha deciso di rinviarne la soluzione al 22 giugno 2021, in modo da dare al Parlamento il tempo di intervenire con una nuova disciplina della materia. Il 26 giugno 2020 la Corte costituzionale ha poi depositato l’ordinanza con cui ha disposto e spiegato i motivi e il significato del rinvio.
La Corte dunque ha preferito consentire al Parlamento di intervenire con precedenza, perché ritiene che un così delicato bilanciamento spetta primariamente al legislatore, ma ha anche fornito alcuni indirizzi sulla cui base modellare l’intervento. La Corte costituzionale infatti dice chiaramente di ritenere il bilanciamento espresso dalla normativa vigente inadeguato, “anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (…) che considera sproporzionata l’applicazione di pene detentive (…) nei confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui”. Manifesta inoltra la preoccupazione per il fatto che un trattamento sanzionatorio particolarmente duro potrebbe dissuadere i media dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri, e che il nuovo bilanciamento dovrà “coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica (…) con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti.

Quella dell’ordinanza di rinvio con monito al legislatore è una tipologia di decisione molto nuova, mutuata dalla giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale tedesco, e utilizzata dalla corte costituzionale italiana per la prima volta nella celebre ordinanza Cappato (n. 207 del 2018).

 

Fonti per approfondire:

  • Link alla sentenza

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, pp. 252-255
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3, p. 167-168

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