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  La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condanna l’Italia per la violazione del diritto all’istruzione e il principio di non discriminazione

I fatti in causa

La causa ha origine dal ricorso di una minorenne con un disturbo autistico che aveva denunciato la mancanza di sostegno scolastico nei primi due anni della scuola primaria (dal 2010 al 2012).
Durante il periodo della scuola dell’infanzia la bambina beneficiava di un insegnante di sostegno e di un’assistenza specializzata per ventiquattro ore a settimana, in modo da favorire l’inclusione, la socializzazione e la sua autonomia.
Ma nel primo anno di scuola primaria questa assistenza era stata interrotta. I genitori avevano domandato più volte al Comune di Eboli la sua prosecuzione, senza ottenere alcuna risposta.
A questo punto, si erano visti costretti a pagare privatamente un’assistenza specializzata per garantire alla figlia l’accompagnamento scolastico.
Due mesi più tardi, l’amministrazione comunale aveva comunicato loro l’impossibilità di ripristinare un’assistenza specializzata pubblica.

Nel maggio 2012 i genitori fanno ricorso al Tar (Tribunale amministrativo regionale) per chiedere la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni per non aver garantito alla minore il diritto all’assistenza specializzata, previsto dalla legge.
La legge 104/1992 prevede, in particolare all’art. 8 e 12, l’importanza di disporre di adeguate dotazioni didattiche tecniche, prove di valutazione e personale qualificato per garantire alle persone disabili il diritto allo studio posto che l’istruzione è un diritto che deve essere tutelato a partire dalla scuola materna fino all’università.
Il ricorso viene rigettato sia in primo grado, sia in secondo grado dal Consiglio di Stato.
A questo punto i genitori si rivolgono alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU).

 

Cosa si intende per ricorso alla Corte EDU?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è un Tribunale internazionale con sede a Strasburgo composta da un giudice per ogni Stato che fa parte del Consiglio d’Europa e che ha ratificata la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Ogni organizzazione non governativa o gruppi di privati che ritengano di essere vittima di una violazione da parte dello Stato di uno dei diritti e delle garanzie riconosciuti dalla Convenzione o dai suoi protocolli Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo può introdurre un ricorso davanti alla Corte Europea.
Una unica condizione per presentare il ricorso è che siano state esaurite le vie di ricorso interne nazionali per porre rimedio alla situazione denunciata. Cosa vuol dire? Il ricorso dinnanzi alla Corte EDU può essere proposto dopo che è stato analizzato e ha ricevuto una risposta prima dall’autorità giudiziaria nazionale. Nel caso di specie il ricorso della minore era stato analizzato dal TAR e in seguito dal Consiglio di Stato.
Avendo ricevuto risposta negativa, i genitori hanno provato l’ultima possibilità alla Corte di Strasburgo.

 

Quale è stata la decisione della Corte EDU?

La Corte Edu evidenzia che il principio di uguaglianza sostanziale richiede che lo Stato riservi un trattamento differenziato ad alcuni gruppi «per correggere diseguaglianze fattuali» e ciò è garantito ad esempio dall’educazione inclusiva, «che mira a promuovere le pari opportunità, soprattutto per le persone con disabilità».
La Corte tiene anche conto del fatto lo Stato in materia di istruzione ha il dovere di bilanciare il diritto degli studenti con la capacità di rispondere a questa esigenza.
Inoltre, la Corte di Strasburgo riconosce che il sistema giuridico italiano garantisce un’educazione inclusiva posto che i minori con disabilità sono collocati nelle classi ordinarie della scuola pubblica, seguiti da una insegnante di sostegno.
Ma nel caso che qui abbiamo descritto la Corte sostiene che la mancanza di un’assistenza speciale, giustificata dal Governo sulla base di una carenza di risorse economiche, in realtà non può essere considerata legittima.
La minore non ha beneficiato per due anni dell’assistenza necessaria e questo ha fatto sì che non potesse più frequentare la scuola.
E dunque, la Corte riconosce che si è verificata una differenza di trattamento basata sulla disabilità. Le restrizioni economiche provate dal Governo avrebbero dovuto influire nello stesso modo su tutti gli studenti, e non colpire solo gli studenti portatori di disabilità.
Per questi motivi la Corte ha condannato l’Italia per aver creato una situazione di discriminazione nell’accesso all’istruzione. In particolare la condanna si basa sulla violazione dell’art. 14 della Convenzione EDU (principio di non discriminazione), in relazione all’art. 2 del protocollo addizionale, che stabilisce il diritto all’istruzione.

 

Per completezza si riportano i testi degli articoli appena citati:
art.14 CEDU: Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.
Art. 2 protocollo addizionale: ll diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.

 

Fonti per approfondire:

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, p. 314
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 2, p. 49
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3, p. 48

 

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