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Legenda

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  Il 3 novembre è l’election day. Ecco le cose da sapere sulla sfida Biden-Trump!

Prima però richiamiamo il contesto: gli Stati Uniti d’America sono governati con un sistema di tipo presidenziale. Questo significa, tra le altre cose, che il Presidente è capo dello Stato ma è anche capo del Governo. Che nomina i componenti dell’esecutivo (quelli che da noi si chiamano ministri e che loro chiamano segretari di stato). Tutta l’amministrazione federale dipende da lui. Il Presidente poi dirige la politica estera del Paese, firma i trattati internazionali ed è comandante in capo dell’esercito. Non solo (e non meno importante!) il Presidente nomina i giudici della Corte suprema nell’eventualità in cui uno dei componenti della Corte suprema cessi dall’incarico.

1) Come viene eletto il Presidente degli Stati Uniti?

Ogni quattro anni, il martedì dopo il primo lunedì di novembre, i cittadini statunitensi si recano alle urne per eleggere il Presidente. Ma, una volta che tutti i voti saranno raccolti, com’è che si determina chi sarà il Presidente? Sapendo che negli Stati Uniti (una forma di governo presidenziale) il Presidente è eletto direttamente dal popolo, può essere naturale pensare che, contati tutti i voti, a vincere sarà il candidato che ne ha ricevuti di più. E invece non è così. Il presidente, infatti, è scelto dai cittadini, ma passando per i grandi elettori.
Il meccanismo è piuttosto curioso ma è molto semplice da capire.
Tutto ruota intorno ai “grandi elettori”: sono loro infatti che, riuniti nel collegio elettorale dei grandi elettori, eleggeranno il Presidente degli Stati Uniti.
Ma chi sono questi grandi elettori? La Costituzione degli Stati Uniti lascia che siano i singoli Stati a decidere il metodo di selezione dei candidati “grandi elettori”, stabilisce però che: «nessun Senatore o Rappresentante o persona che abbia un ufficio fiduciario o retribuito dagli Stati Uniti potrà esser nominato come (grande) Elettore». Le persone scelte come grandi elettori sono, di solito, attivisti dei due partiti.
I “grandi elettori” sono 538. Il numero è uguale a quello di Senatori (100), Deputati (435) più i 3 grandi elettori che rappresentano il distretto di Columbia, dove si trova la capitale Washington. Ogni Stato ha un numero diverso di “grandi elettori”.

Quanti? Il numero è uguale alla somma dei seggi che a quello Stato spettano al Senato – due ciascuno – e alla Camera – un numero proporzionale ai suoi abitanti. Per questo il numero di “grandi elettori” dipende dalla popolazione dello Stato.
Un esempio, lo Stato di New York ha 29 grandi elettori: uguali alla somma tra i due seggi che gli spettano al Senato e i 27 che gli sono attribuiti alla Camera dei Rappresentanti. Il Minnesota, invece, ha 10 grandi elettori: uguali alla somma tra i due seggi che gli spettano al Senato e gli 8 che gli sono attribuiti alla Camera dei Rappresentanti.
Tra gli Stati più piccoli e quelli più grandi, quindi, il numero è diverso: si va dai tre degli Stati meno popolati (Vermont, Montana, Alaska ecc.) ai ventinove della Florida e di New York, ai trentotto del Texas, fino ai cinquantacinque della California. Ecco una mappa che indica il numero di grandi elettori per ciascuno Stato!

I grandi elettori sono eletti, in ogni Stato, col sistema del winnertakes-all. In ogni Stato, cioè, i grandi elettori sono assegnati in blocco al partito vincente: è eletto l’intero pacchetto di grandi elettori del partito che ottiene la maggioranza dei voti nello Stato. In altre parole: chi vince, porta a casa tutti i grandi elettori. L’unica eccezione a questo sistema è rappresentata dal Nebraska e dal Maine, dove vige un metodo corretto in modo proporzionale: due grandi elettori sono assegnati a chi vince, mentre gli altri sono assegnati a chi vince nelle singole circoscrizioni elettorali “interne” allo Stato.
Una volta eletti, i grandi elettori si riuniscono nella capitale del proprio Stato, ed esprimono il loro voto. Il candidato che ottiene il voto di 270 grandi elettori (chi riesce cioè a conquistare gli Stati che gli garantiscono almeno 270 grandi elettori) diventa Presidente.

2) Non tutti i grandi elettori sono obbligati a votare il candidato che ha vinto nel loro Stato

Per poter funzionare, questo sistema presuppone che i grandi elettori votino il candidato indicato dal voto popolare dello Stato di riferimento. Nessuna legge federale, però, lo impone. La maggior parte degli Stati ha stabilito un meccanismo di controllo sul voto espresso dai grandi elettori. Molti altri Stati però non obbligano formalmente i loro grandi elettori a votare secondo i risultati delle elezioni “statali”.
È capitato più volte infatti, che alcuni grandi elettori non abbiano votato secondo le “aspettative”. La Corte Suprema ha recentemente preso posizione affermando che i grandi elettori “sleali” possano essere puniti.

3) Ad essere eletto presidente può essere il candidato meno votato

Questa è la conseguenza del sistema dei “grandi elettori” e del winners take it all, ed è esattamente quello che è successo nelle elezioni del 2016.
Il Presidente infatti, non è eletto direttamente dai voti espressi dai cittadini, ma dal collegio dei grandi elettori. E i grandi elettori di ciascuno Stato sono assegnati al partito che vince, che sia con uno o 500.000 voti in più non cambia. Così, ad esempio, se un partito che vince in California per un solo voto di differenza, porta a casa 55 grandi elettori. Un numero maggiore di quelli che guadagna il partito che vince con moltissimi voti di differenza in più Stati che però attribuiscono meno di 55 elettori.
È esattamente così che è andata nel 2016, quando
Hillary Clinton, pur avendo ottenuto più di 2,8 milioni di voti in più rispetto a Donald Trump, perse le elezioni perché a quei voti corrisposero solo 227 grandi elettori, contro i 304 in appoggio al candidato repubblicano.

4) Cosa sono gli swing State

La vera battaglia, quindi, si combatte negli Stati con il numero maggiore di grandi elettori. Di questi, alcuni hanno una storica appartenenza Democratica (New York, Boston, Washington), altri invece sono tradizionalmente repubblicani (Tennessee, Indiana e Kentucky).
Esiste poi un terzo gruppo di Stati contendibili: è questo il vero “campo di battaglia” elettorale. Sono gli swing States, o purple states (né rossi né blu, i colori classici rispettivamente dei Repubblicani e Democratici). Quali sono Arizona, Florida, Georgia, Maine, Michigan, Minnesota, Nebraska, Nevada, New Hampshire, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, Wisconsin e Texas.

5) Il voto anticipato (early in-person vote) e il voto postale

In questi giorni vi sarà capitato di vedere le testimonianze, sui social o sui quotidiani, di celebrità o altre persone che sono andate a votare. Il 29 ottobre infatti circa 80 milioni di americani aveva già votato.
Ma come è possibile? Tutto normale, grazie a due strumenti: il cosiddetto early in-person voting e il voto postale.

L’early in-person voting. Negli stati uniti, nella maggior parte degli Stati, le urne vengono aperte per un periodo variabile di tempo prima del giorno del voto. È possibile, per chi vuole, andare a votare prima dell’election day.

Il voto per posta. Il voto per posta non è necessariamente un voto anticipato, ma solitamente chi vota per posta lo fa con un certo anticipo rispetto all’election day. Chi intende votare per posta infatti, riceve a casa un modulo precompilato. Vota, e a quel punto ha due possibilità: depositarlo in apposti centro di raccolta o se spedirlo via posta.

Questi strumenti hanno radici storiche e sono stati pensati per motivi precisi: in passato, favorire la partecipazione al voto di persone per cui altrimenti sarebbe stato molto complicato (soprattutto i soldati) e, in generale, per favorire la partecipazione al voto in un Paese con un territorio enorme e molto popoloso, in cui c’è la necessità di non creare affollamenti alle urne il giorno delle elezioni e di smaltire parte del lavoro.
Inutile dire che, entrambi gli strumenti, si sono rivelati particolarmente utili in tempo di covid-19.

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3 p. 11
  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, pp. 94-106
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 2 p. 11

 


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