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  Abuso di dipendenza economica: istruttoria dell’Antitrust contro il gruppo Benetton e i suoi franchising

Martedì 24 novembre l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato (AGCM o Antitrust) ha annunciato l’avvio di un’istruttoria particolarmente invasiva nei confronti della Benetton, gruppo societario noto principalmente per l’attività nel settore tessile oltre che per la partecipazione di controllo in Autostrade per l’Italia.
Istruttoria invasiva perché l’apertura del procedimento amministrativo è stata accompagnata da un’ispezione dei militari della Guardia di Finanza nelle sedi centrali di Benetton S.r.l. e Benetton Group per l’acquisizione di documenti utili.
Il procedimento è stato avviato grazie alla denuncia presentata dall’amministrazione della Miragreen S.r.l., franchisee rivoltasi all’Antitrust per ottenere tutela contro una serie di condotte abusive agevolate dalle singolari condizioni contrattuali dei franchising Benetton.

In particolare, i denuncianti hanno evidenziato come le condizioni imposte da Benetton abbiano l’effetto di introdurre degli squilibri contrattuali eccessivi a favore del franchisor, squilibri che rendono estremamente difficile la cessazione del rapporto (e la riconversione del punto vendita) e l’approvvigionamento dei prodotti. La quantità e la qualità della fornitura verrebbe gestita da Benetton in modo eccessivamente discrezionale, complesso e poco trasparente.

Quando si parla di contraenti forti e deboli, di condizioni contrattuali vessatorie (eccessivamente sfavorevoli nei confronti di una delle due parti), siamo abituati a fare immediato riferimento ai rapporti B2C (Business to consumer) tra professionisti e consumatori.
L’occasione, invece, richiede di confrontarsi con il tema dell’abuso di dipendenza economica e la sua regolamentazione. Dopo anni di elaborazione giurisprudenziale, fondata principalmente sull’utilizzo della buona fede nell’esecuzione dei contratti e sullo strumento atipico dell’abuso del diritto, la legge n. 192 del 18 giugno 1998 sulla Disciplina della subfornitura nelle attività produttive ha introdotto, all’art. 9, la fattispecie di abuso di dipendenza economica:

1. È vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. 
2. L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto […]

La norma è frutto della crescente attenzione del legislatore rispetto alle situazioni di disparità fisiologica tra le parti del contratto. Per lo stesso principio per cui è possibile immaginare una condizione di debolezza intrinseca quando si parla di tutela del consumatore nei confronti del professionista, con la normativa del 1998 si pone l’attenzione sulle situazioni di disparità nei rapporti commerciali tra professionisti (rapporti B2B, business to business).

Il parallelismo tra le due normative non è casuale: i termini utilizzati dall’art. 9 sono volutamente simili a quelli della disciplina di tutela del consumatore e richiamano, in particolare, il concetto di squilibrio tra diritti e obblighi derivanti dal contratto (concetto che è alla base della definizione delle cd. clausole vessatorie).

L’instaurazione di rapporti commerciali di fornitura tra professionisti (e la conseguente situazione di dipendenza economica) è necessaria, fisiologica alle moderne attività di distribuzione e ampliamento delle reti di vendita dei produttori. Le società come Benetton, infatti, possono contare sia su una rete di vendita diretta, costituita dai propri store e punti vendita, sia su una rete indiretta che fa ampio ricorso, sul territorio nazionale, allo strumento del contratto di affiliazione commerciale (franchising).

Il franchising era uno strumento contrattuale atipico, poi oggetto della l. 129/2004 con la dicitura italiana “affiliazione commerciale”. In questi contratti un soggetto affiliante (franchisor) consente a un affiliato (franchisee) l’utilizzo del proprio marchio d’impresa, l’accesso e la condivisione del proprio know-how e dei propri metodi di vendita o produzione, in cambio del pagamento di un canone fisso oltre che di una quota commisurata al volume di vendite dell’affiliante (royalties). Il franchising ha avuto molto successo perché comporta vantaggi rilevanti per entrambi i soggetti:

  • L’impresa affiliante risparmia sulle spese di organizzazione, gestione e mantenimento di un nuovo punto vendita e alleggerisce il proprio rischio d’impresa.
  • L’impresa affiliata può fare affidamento sulla notorietà del marchio dell’affiliante, sfruttare il know-how da questi accumulato e, di conseguenza, vendere prodotti che sono già noti e desiderati dai consumatori
  • La linea tra l’utilizzo legittimo di questo strumento e l’abuso è spesso sottile trattandosi di contratti complessi che spesso vengono predisposti unilateralmente dalla parte affiliante.
    La Benetton, adesso, avrà 60 giorni per presentare osservazioni e elementi a discarico all’Autorità Antitrust.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 2, pp. 160-161 e 289
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 1, pp. 538

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