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  L’Onu condanna l’Italia per “la strage dei bambini” del 2013 nelle acque SAR maltesi

I fatti

L’11 ottobre 2013 si è consumata un’ennesima tragedia del mare: il naufragio di un’imbarcazione libica che trasportava oltre 400 persone, affondata nel Mediterraneo.
Il peschereccio, partito dal porto di Zuwara all’una di notte, dopo qualche ora di navigazione è stato colpito da una barca battente bandiera berbera ed ha iniziato ad imbarcare una grande quantità di acqua.
Una persona a bordo, MJ, ha telefonato il numero italiano per le emergenze in mare (introno alle ore 11) spiegando che la nave stava per affondare e che a bordo c’erano bambini, trasmettendo le coordinate geografiche della nave.
Nonostante questa prima telefonata fosse stata seguita da molte altre, nessun intervento di soccorso è stato attivato. Solo nell’ultima chiamata (delle 13.17) l’operatore italiano ha spiegato che, in realtà, la nave si trovava nella zona di ricerche e soccorso maltese e ha fornito il numero di telefono del Rescue Coordination Center di Malta (RCC Malta).
Sono iniziate, a quel punto, le telefonate alle Forze armate di Malta e all’RCC maltese.
I primi soccorsi sono giunti, però, solo alle 18 tramite una nave della marina militare italiana ITS Libra.
Il bilancio drammatico è di oltre 200 morti, tra cui 60 bambini.

Le accuse nei confronti dell’Italia e di Malta

A seguito del tragico evento, il 19 maggio 2017 tre cittadini siriani e uno palestinese presentano ricorso al Comitato per i diritti umani dell’Onu. I ricorrenti lamentano la violazione, da parte delle autorità italiane e maltesi, del diritto alla vita dei loro familiari deceduti.
Più specificamente, i parenti delle vittime sottolineano che il dovere di prestare assistenza in mare a chi si trova in pericolo è una regola internazionale consolidata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 e della Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS) del 1974.
Gli Stati avrebbero violato il diritto alla vita dei loro parenti ai sensi dell’articolo 6, par. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP) a causa di atti negligenti e omissioni nelle attività di salvataggio in mare. Secondo i ricorrenti le autorità dei due Stati avrebbero violato il dovere di prendere tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita dei loro parenti, in particolare: a) non trasmettendo prontamente le chiamate di soccorso dalla nave alle autorità SAR competenti, cioè il Centro di soccorso maltese; b) omettendo di informare prontamente la nave di dover contattare le autorità maltesi, ritardando così l’operazione di salvataggio; c) non avendo inviato in soccorso le navi della guardia costiera da Lampedusa (o la nave della marina italiana più vicina), nonostante una richiesta delle autorità maltesi.
Le autorità italiane, non avendo informato tempestivamente le autorità maltesi, avrebbero ritardato di due ore l’operazione di soccorso.
Oltretutto, secondo i ricorrenti nessuna indagine effettiva sarebbe stata fatta per accertare le responsabilità delle persone coinvolte nel salvataggio.

La sentenza del Comitato delle Nazioni Unite

Il 27 gennaio 2021 il Comitato per i diritti umani ha affermato una responsabilità concorrente tra Italia e Malta per il naufragio del 2013. Responsabilità derivante da un inefficace coordinamento tra autorità maltesi e italiane. Da un lato le autorità maltesi non sono prontamente intervenute, nonostante avessero l’obbligo giuridico di farlo. Dall’altro le autorità italiane hanno ritardato il proprio intervento sostitutivo (tra l’altro sollecitato da Malta), pur avendo la possibilità materiale di salvare i naufraghi.
Si tratta di una decisione innovativa perché anche se il naufragio è avvenuto in acque internazionali, e anche se le violazioni non si sono verificate su navi battenti bandiera italiana o maltese, il Comitato ha ritenuto che il naufragio ricadesse nella la giurisdizione di entrambi gli Stati. Per questo motivo i ricorrenti possono invocare la violazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Con questa decisione per la prima volta si afferma l’obbligo di soccorso degli Stati anche in acque internazionali e in zone di competenza di altri Stati.

 

Attività
Simuliamo la controversia in classe!

Dopo aver letto l’articolo provate a simulare la controversia in questo modo.
Dividetevi in quattro gruppi:
·      il primo gruppo rappresenta lo Stato italiano,
·      il secondo gruppo rappresenta lo Stato maltese,
·      il terzo gruppo rappresenta i ricorrenti (parenti delle vittime),
·      il quarto gruppo rappresenta il Comitato delle Nazioni Unite.

Ciascun gruppo argomenta le proprie ragioni, utilizzando le informazioni contenute nell’articolo e leggendo le disposizioni del Patto internazionale (link n. 3).
Al termine, l’insegnante sottolinea i punti di forza e di debolezza di ciascun gruppo.

 

Fonti per approfondire: 

Riferimenti nei testi Zanichelli: 

  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, pp. 75 – 76, 308 – 314
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 2, pp. 45 – 48
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3, pp. 45 – 49

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