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Legenda

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  Dallo scioglimento delle Camere alle elezioni anticipate

1. Il Governo Draghi si è dimesso: ma allora perché è ancora in carica?

La crisi del Governo Draghi si è compiuta il 21 luglio del 2022, quando il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha rassegnato le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Una cosa da ricordare. La crisi di Governo è la situazione determinata dalle dimissioni del Presidente del Consiglio.
La crisi di governo si dice parlamentare quando il Presidente del Consiglio è obbligato giuridicamente a dimettersi. L’obbligo di dimettersi può sorgere o dall’approvazione di una mozione di sfiducia o dalla mancata approvazione di una questione di fiducia.
La crisi di governo si dice extra-parlamentare quando il Presidente del Consiglio sceglie volontariamente di dimettersi per qualsiasi altro fatto.

Le dimissioni rassegnate il 21 luglio segnano dunque la fine del Governo Draghi. O meglio, ne segnano la fine politica. Un Paese, infatti, non può restare senza Governo. Fintanto che non nasce un nuovo Governo, dunque, rimane in carica quello precedente.
Per questo il Governo Draghi è rimasto ed è tuttora in carica per il “disbrigo degli affari correnti”.

Una cosa da ricordare. I Governi della Repubblica Italiana entrano in carica con il giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Il Governo Draghi pertanto resterà in carica fino a quando un nuovo Governo verrà nominato e giurerà nelle mani del Presidente della Repubblica.

 

2. Cosa significa che Governo rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti?

Il Governo uscente, pur essendo ancora in carica, non ha più la stessa legittimazione politica.
Per questo si dice che quando il Presidente del Consiglio dà le dimissioni, il Governo “resta in carica per il disbrigo degli affari correnti”. Si tratta di una formula usata per dire una cosa molto semplice: che il Governo dimissionario dovrebbe svolgere la propria attività non facendo più di quanto non sia strettamente necessario all’amministrazione del Paese. Quasi per inerzia, in attesa di essere sostituito.
È evidente, però, che in situazioni straordinarie ed eccezionali come quelle che stiamo vivendo (pandemia, guerra, crisi energetica) il Governo non può sottrarsi dall’adottare misure non esattamente ordinarie.

 

3. Al voto il 25 settembre: ma come si voterà?

Il sistema elettorale attualmente vigente è disciplinato dalla legge n. 165 del 2017 (Rosatellum), che prevede un sistema misto, con una componente maggioritaria uninominale e una proporzionale plurinominale.

Una curiosità: le due prime volte. Queste saranno le prime elezioni dopo la riforma costituzionale operata con la legge costituzionale n. 1 del 2020. Pertanto:

  • si eleggerà il Parlamento “ridotto”: non più 630 deputati e 315 senatori ma 400 deputati e 200 senatori.
  • l’età dell’elettorato attivo per il Senato scende da 25 a 18 anni, allineandosi a quello della Camera.

Attraverso l’elezione che si svolgerà il 25 settembre occorrerà dunque ripartire l’assegnazione di 600 seggi. Di questi: 3/8 (147 alla Camera e 74 al Senato) sono assegnati con metodo maggioritario, in collegi uninominali, mentre i restanti 5/8 (245 seggi alla Camera e 122 seggi al Senato) sono assegnati con metodo proporzionale, in collegi plurinominali, con soglie di sbarramento.

Come avviene la distribuzione dei seggi tra le forze politiche?
Il territorio nazionale viene diviso in circoscrizioni: 20 al Senato, coincidenti con il territorio delle regioni; 28 alla Camera dei deputati, più o meno coincidenti con il territorio delle regioni. Le circoscrizioni vengono a loro volta divise in collegi plurinominali e collegi uninominali.

La parte proporzionale

Per la parte proporzionale (5/8) vengono definiti 245 collegi uninominali alla Camera e 122 al Senato.
Il funzionamento è quello dei sistemi proporzionali plurinominali classici: in ogni collegio si attribuiscono più seggi, che vengono distribuiti tra le liste che prendono più voti.
In ogni seggio si attribuiscono più seggi, per i quali si sfidano varie liste di candidati (una lista per ogni forza politica) che ottengono un numero di seggi proporzionali ai voti ottenuti.
Sono eletti i candidati della lista, nel limite dei seggi di cui ha diritto, secondo l’ordine di presentazione.

La parte maggioritaria

Per la parte maggioritaria (3/8) vengono definiti 147 collegi uninominali alla Camera e 74 al Senato.
Il funzionamento è quello dei sistemi maggioritari uninominali classici: in ogni collegio si attribuisce un solo seggio al candidato che ottiene più voti. In ogni seggio si sfidano i candidati delle varie liste (uno per ognuna) ed è assegnato a chi ottiene più voti degli altri (la maggioranza relativa dei voti).

Come si vota?
Ciascun elettore vota su un’unica scheda, su cui si trova il nome del candidato nel proprio collegio uninominale, il contrassegno di ciascuna lista o, nel caso di coalizioni, i contrassegni delle liste che ne fanno parte, e i nominativi dei candidati nel collegio plurinominale.

 

Attività

Quello avvenuto nel mese di luglio non è stato il primo scioglimento anticipato delle Camere nella storia della Repubblica Italiana.
Quante altre volte è successo?
Per rispondere, documentati online.

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed., vol. 3, p. 135; 152
  • Monti-Faenza, Res publica 4ed., p. 148; 241
  • Monti, Per Questi Motivi, Vol. 3, p. 110; 160
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed., vol. 2, p. 75; 92

 

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