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  La musica italiana sparisce da Instagram e Facebook: SIAE vs Meta

Immaginate di svegliarvi una mattina e di scoprire che la musica che siete abituati a condividere tutti i giorni, a usare come sfondo delle vostre stories o per animare i vostri reel, non è più disponibile sui vostri profili social. Dopo lo sgomento iniziale vi rendete conto che a essere non disponibile non è il catalogo musicale mondiale ma, stranamente, solo i brani italiani.

È esattamente quello che è successo a partire dal 16 marzo, quando Meta, la società di Mark Zuckerberg e proprietaria di Instagram e Facebook, ha annunciato che avrebbe iniziato a rimuovere la musica italiana dalle sue piattaforme in risposta all’interruzione delle trattative con SIAE per il rinnovo delle relative licenze.
Quello che sembrava un incidente di percorso, destinato a durare pochi giorni, si è rapidamente trasformato in un braccio di ferro tra la Società Italiana Autori ed Editori (SIAE) e il colosso big tech della Silicon Valley (Meta).

Ma quali sono le motivazioni dietro quanto accaduto? Quali le ripercussioni su utenti, artisti e operatori economici del mondo musicale?
Proviamo a rispondere ripercorrendo insieme i fatti e ricostruendo la loro cornice giuridico-economica.

 

Le piattaforme online pagano per offrire la musica ai loro utenti? Quali sono gli interessi in gioco?

Come sappiamo, uno degli strumenti principali che le piattaforme social utilizzano per monetizzare è la sponsorizzazione dei contenuti e la vendita di spazi pubblicitari. Perché questi spazi pubblicitari siano ambìti e generino redditi interessanti però, è necessario che la piattaforma si popoli di utenti e che questi utenti abbiano interesse a interagire con i contenuti ospitati dalla stessa. Ecco quindi che entrano in gioco le opere creative. La possibilità di sfruttare le opere, che siano musica, filmati, grafiche o altro è ciò che rende più interessante la condivisione sui social network. Le opere creative sono diventate una molla di espansione fondamentale per le piattaforme social, basti pensare alla velocissima ascesa della piattaforma TikTok, basata proprio sull’interazione esplosiva tra audio e video.

Non dimentichiamo, tuttavia, che ogni qualvolta utilizziamo una canzone, un video, un’immagine protetta da copyright (diritto d’autore) si pone il problema del suo sfruttamento economico e della remunerazione degli autori.

Per quanto riguarda la musica, per integrare le librerie musicali all’interno dei social network, le aziende proprietarie delle piattaforme stringono accordi di licenza con le varie collecting, società di gestione collettiva dei diritti d’autore. Questi contratti riguardano le condizioni di utilizzo di interi cataloghi del reparto audio-visivo: in cambio di un compenso economico (determinato o determinabile sulla base di criteri analitici o statistici) le società di gestione collettiva concedono l’utilizzo delle opere degli artisti che rappresentano per un determinato periodo di tempo. In Italia, la società di gestione collettiva che rappresenta la più grande fetta del mercato musicale è appunto SIAE.

Se pensate che sia facile determinare il giusto compenso per lo sfruttamento dei brani musicali, tuttavia, bisogna tenere presente che nella stragrande maggioranza dei casi questo sfruttamento genera profitti alla piattaforma solo per via indiretta. La possibilità di utilizzare e condividere le opere creative attrae gli utenti alla piattaforma e li spinge ad utilizzarla con costanza, la presenza di utenti sulla piattaforma la rende poi una piazza interessante per monetizzare attraverso le attività di advertising e pubblicità. È chiaro quindi che le piattaforme devono corrispondere un compenso agli artisti, autori ed editori cui appartengono i diritti di sfruttamento delle opere creative poiché è anche grazie a questi contenuti che possono generare enormi profitti.

Il fatto che piattaforme come Instagram e Facebook operino praticamente in tutto il mondo rende la contrattazione di questi diritti particolarmente delicata.
In ogni Stato e con ogni società di gestione, Meta deve stringere accordi più o meno unilaterali, rispettando ciò che è previsto dalle normative nazionali e internazionali sul copyright.

Se adesso è chiaro quale sia l’interesse economico che muove le aziende come Meta, quali sono le esigenze delle controparti?

Stando alle più recenti informazioni diffuse dalla FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), anche nel 2022 il mercato musicale italiano ha visto un aumento dei ricavi provenienti dal mondo digitale: l’80% dei ricavi complessivi è rappresentato dallo streaming e il 5% degli ascolti di musica in Italia avviene sulle piattaforme di social media, in particolare su quelle di Meta.
Si tratta di un’espansione di mercato che è stata stimolata anche dal cambiamento delle abitudini degli utenti, modificatisi a seguito della pandemia.

Se il 5% degli ascolti può sembrare una cifra modesta (e non lo è), teniamo presente che le piattaforme di social media sono diventate nel tempo il principale strumento di comunicazione e pubblicità per gli operatori del mercato musicale. Oggi i contenuti virali di TikTok, Instagram e Facebook, le playlist di Spotify, Apple Music e Amazon possono decidere le sorti di un brano musicale, di un tour di concerti o di un disco in pubblicazione. Rinunciare alla presenza su queste piattaforme non significa solo perdere i redditi derivanti dai compensi per le licenze d’uso, ma anche e soprattutto perdere la possibilità di comunicare il prodotto musica, pubblicizzarlo in Italia e all’estero.

In sintesi, i creativi vogliono essere pagati in modo equo per lo sfruttamento delle proprie opere ma vogliono anche poter usufruire dell’esposizione e delle opportunità di mercato che solo i social media rendono possibili.

 

Il caso SIAE, perché il rinnovo della licenza è stato bloccato?

Il 15 dicembre del 2022 è scaduto l’ultimo contratto di licenza per i contenuti tra SIAE e Meta e si è dunque posto il tema della sua eventuale rinegoziazione.
I fatti di metà marzo sono stati comunicati da SIAE come una interruzione unilaterale delle trattative dovuta alla richiesta, da parte della società italiana, di maggiore trasparenza nella condivisione dei dati di utilizzo del repertorio e una rinegoziazione delle modalità di calcolo dei compensi.
In sostanza, secondo SIAE, Meta non fornisce dati relativi al volume di affari generato all’interno del nostro paese e non spiega in modo sufficientemente chiaro e analitico come vengono calcolati i compensi erogati per le utilizzazioni dei brani.
A fronte di questa mancanza di trasparenza, i compensi erogati sono stati ritenuti troppo bassi e nelle parole di Salvatore Nastasi, presidente di Siae, il problema non è solo economico ma anche culturale. Per Nastasi, gli accordi andrebbero rinegoziati poiché dal 2020 ad oggi Meta ha cambiato nome e obiettivi di mercato (è passata da Facebook al metaverso).

Non solo, questo braccio di ferro mette per la prima volta alla prova le novità contenute nella Direttiva copyright del 2019, recepita dall’Italia a dicembre 2021. Secondo il testo normativo, in particolare l’art. 17, le piattaforme (prestatori di servizi di condivisione di contenuti online) devono ottenere licenze di utilizzo al pari degli utilizzatori. Ogni condivisione sulle piattaforme in assenza di una licenza preventiva è fonte di responsabilità per il prestatore salvo che questi riesca a provare di essere in buona fede, di aver compiuto i massimi sforzi per ottenere la licenza o di aver agito tempestivamente per la rimozione dei contenuti.

Il contenuto della direttiva riequilibra il rapporto contrattuale tra i titolari dei diritti d’autore e le piattaforme: o Meta ottiene la licenza da SIAE o sarà obbligata a rimuovere tutti i contenuti rappresentati dal suo catalogo.  Proprio questi sono i motivi addotti da Meta per aver tempestivamente iniziato la rimozione dei brani italiani: il rispetto della nuova normativa in assenza di un accordo.

Il 30 marzo si è tenuta una audizione di Meta alla Camera durante la quale Angelo Mazzetti, responsabile degli affari istituzionali di Meta, ha potuto spiegare la posizione della compagnia americana. Meta sostiene di aver preso contatto con SIAE per rinegoziare la licenza già da agosto e di aver cercato di tenere vive le trattative fino a un netto rifiuto, da parte di SIAE, di accettare qualsiasi offerta inferiore ad aumento del +310% dei compensi. Mazzetti ha spiegato, inoltre, che poichè la compagnia non monetizza direttamente dai contenuti musicali, chiedere a Meta di commisurare il compenso per le licenze ai ricavi ottenuti in un determinato paese sarebbe in contrasto con il loro modello di business.

 

Cosa accadrà adesso?

Quello che per gli utenti potrebbe essere un disagio tutto sommato sopportabile, rischia invece di provocare danni importanti all’intera filiera musicale italiana. In questo senso l’intervento del Governo Italiano nella trattativa ci permette di cogliere l’urgenza e la necessità di una rapida risoluzione. Il prossimo appuntamento per saperne di più sarà il 6 aprile, data in cui è stato fissato un nuovo tavolo di negoziazione al Ministero della Cultura. SIAE e Meta dovranno confrontarsi e cercare un compromesso che soddisfi entrambe le parti.

 

Attività

Il diritto d’autore: cos’è e come funziona?

  • Quali sono le principali problematiche relative alla tutela delle opere creative
  • Che differenza c’è tra diritti morali e di sfruttamento economico?
  • Fino a quando è possibile limitare la diffusione di un’opera, proteggendone contenuto e utilizzi?

Le risposte a queste domande, nel nostro paese, sono fornite dalla normativa sul diritto d’autore. Conducete una breve ricerca in classe per rispondere alle domande e, con la guida del docente, commentate il caso esposto nell’articolo. Da che parte state?

 

Fonti per approfondire:

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Monti, Per Questi Motivi, vol. 2., pp. 438-439
  • Monti, Per Questi Motivi, Articolazione RIM, vol. 1, pp. 436-437
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 5ed, vol. 2 – pp. 43-44
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 5ed, vol.1 – pp. 303-304.

 

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