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  Cambiamenti climatici: i risultati della COP27

Introduzione: un po’ di storia

Cosa è la COP?

La COP (Conference Of the Parties) è la conferenza al più alto livello e con grande rilevanza per l’agenda internazionale che ha ad oggetto il cambiamento climatico. Si tratta di una occasione in cui si riuniscono più di 200 parti (Stati, organizzazioni regionali e attori non statali) che discutono di cambiamento climatico e come combatterlo.
Le parti che si riuniscono sono quelle che hanno firmato nel 1992 la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change o anche UNFCCC o FCCC).

Si tratta di un trattato internazionale ambientale prodotto dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (United Nations Conference on Environment and Development o UNCED), informalmente conosciuta come Summit della Terra, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992. Infatti, la Convenzione è nota anche Accordi di Rio e il suo obiettivo è la riduzione delle emissioni dei gas serra, alla base del riscaldamento globale.

 

Le tappe più importanti

Come nasce la COP?

La prima COP si è svolta nel 1995 a Berlino tra 118 Paesi. Questa è stata la prima occasione internazionale in cui il cambiamento climatico è stato esposto come un problema.
Seppure non siano stati raggiunti accordi assai rilevanti, il riconoscimento ufficiale dell’esistenza del problema climatico e l’avvio di studi e analisi sullo stato del clima è stato un passo di grande importanza.

 

Una prima conquista: COP3

La prima grande conquista della comunità internazionale sul clima fu la stesura nel 1997 del Protocollo di Kyoto, il primo trattato internazionale che prevedeva un impegno concreto e giuridicamente vincolante da parte dei Paesi sviluppati a diminuire le proprie emissioni.
Nello specifico, il Protocollo di Kyoto richiedeva ai paesi più ricchi una diminuzione del 5% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, da realizzarsi entro il 2012. La ratificazione del Protocollo da parte dei Paesi fu molto lenta, in quanto quello del cambiamento climatico era ancora un argomento molto controverso. Il Protocollo di Kyoto ottenne le firme necessarie per entrare in vigore solo nel 2005.

Si comprende, più tardi, che l’obbligo di diminuire la CO2 non doveva essere solo di alcuni Paesi, ma dovevano impegnarsi per raggiungere un tale risultato anche altre nazioni in via di sviluppo, come Cina, India e Brasile. Questo viene fatto in occasione della COP13, nel 2007.

 

Un ulteriore piccolo passo in avanti: COP15 e COP17

Per la prima volta, alla COP15 di Copenaghen, si parla di cercare di contenere l’aumento della temperatura media mondiale al di sotto dei 2°C.
L’Accordo di Copenaghen, tuttavia, è spesso etichettato come “un’occasione persa”. Gli impegni presi dai Paesi in questa occasione, infatti, non erano vincolanti e sicuramente non abbastanza ambiziosi. Inizia a delinearsi la necessità di produrre un accordo più dettagliato che vincoli legalmente l’intera comunità internazionale alla lotta al cambiamento climatico.

Così, durante la COP17, si stabilisce che bisogna avere un altro Protocollo di Kyoto più ambizioso e bisogna farlo al massimo entro il 2015.

 

Un tassello fondamentale, ma non rispettato: COP21

Dopo anni di tentativi c’è stato il più grande successo del multilateralismo internazionale in ambito climatico: lo storico accordo firmato nel 2015. Questo accordo prevede l’impegno, da parte di tutta la comunità internazionale, di mantenere l’aumento totale della temperatura ben al di sotto dei 2°C, e possibilmente entro 1.5°C.
Per fare questo i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi si impegnano a ridurre drasticamente le proprie emissioni nei prossimi anni per arrivare, nel 2050, a zero emissioni nette, una situazione in cui i (pochi) gas a effetto serra emessi vengono completamente riassorbiti da foreste, oceani e da tecnologie di cattura e sequestro del carbonio. Uno dei principali elementi introdotti dall’Accordo di Parigi è la produzione, da parte di ogni Paese, di una Nationally Determined Contribution (NDC) – cioè un piano da aggiornare e ripresentare ogni 5 anni che delinei in modo chiaro e conciso la strategia che ogni Paese intende adottare per mitigare (ridurre le emissioni) e adattarsi (ridurre gli impatti) ai cambiamenti climatici.

Tali obiettivi sono stati ribaditi anche nella COP26 tenutasi a Glasgow:

  • azzerare le emissioni nette entro il 2050;
  • contenere l’aumento delle temperature non oltre 1,5 gradi, accelerando l’eliminazione del carbone, riducendo la deforestazione ed incrementando l’utilizzo di energie rinnovabili.

 

La COP 27 e la scelta dell’Egitto

Quest’anno la conferenza si è svolta in Egitto, a Sharm El Sheik, dal 6 al 18 ottobre.
Ci sono due ragioni precise per cui l’Egitto si è candidato come Paese ospitante:

  1. perché è nell’aria geografica più afflitta dalla siccità;
  2. perché l’Egitto (con il Sudan) è parte di una disputa sull’acqua del Nilo contro l’Etiopia. In particolare, la causa del contendere è la diga costruita dall’Etiopia sul Nilo Azzurro. L’accusa di Sudan ed Egitto è che il riempimento della diga etiope (la più grande dell’Africa) mette a rischio il loro approvvigionamento idrico.

La Conferenza è stata aperta dal nuovo segretario esecutivo Simon Stiell, il quale ha riferito che l’obiettivo è trasformare le parole in azioni e quindi fare in modo che mantenere l’aumento della temperatura media globale il più vicino possibile agli 1,5 gradi diventi realtà.
Per farlo vuole basare la sua guida su tre aspetti:

  1. dimostrare di saper trasformare la teoria in pratica;
  2. aumentare gli aiuti finanziari verso quei Paesi che stanno già vivendo gli effetti della crisi climatica e devono adattarsi per sopravvivere;
  3. garantire trasparenza e responsabilità in tutte le fasi negoziali e procedurali e per farlo bisogna rimettere al centro il ruolo delle donne.

 

Successi della COP27

La COP27 ha istituito un fondo internazionale di compensazione per le perdite e i danni rivolto in maniera prioritaria ai Paesi “particolarmente vulnerabili” rispetto alla crisi climatica. Sono considerati paesi vulnerabili non solo quelli esposti ai danni del clima che cambia ma anche quelli incapaci di farvi fronte da soli dal punto di vista finanziario.

Questo era il punto più atteso tra quelli in agenda e quello invocato a gran voce dai Paesi del Sud del mondo, i meno responsabili delle emissioni dannose fin qui scaricate in atmosfera e allo stesso tempo i più toccati dalle loro conseguenze (siccità, innalzamento del livello dei mari, imprevedibilità delle stagioni, eventi climatici estremi). Averlo approvato significa riconoscere implicitamente la responsabilità morale e finanziaria del modo in cui i Paesi industrializzati si sono arricchiti finora, e cioè a spese dell’ambiente e della salute delle presenti e future generazioni.

Si tratta ora di:

  • definire i Paesi davvero vulnerabili. Tale condizione è stata chiesta dall’Unione Europea, che vorrebbe fuori dalla lista i Paesi geograficamente esposti ma con grandi mezzi finanziari e riserve di petrolio come quelli del Golfo;
  • puntualizzare chi contribuirà al fondo (l’UE vorrebbe compresa anche la Cina, storicamente tra i Paesi in via di Sviluppo ma oggi super potenza economica e primo emettitore globale di CO2);
  • redigere una lista dei danni effettivamente compensabili entro la COP28, compito affidato a un Comitato di transizione composto a maggioranza da Paesi membri del Sud del mondo.

 

Fallimenti della COP27

Nella COP26 i Paesi si sono impegnati a rivedere le promesse relative alle emissioni (la COP dell’implementazione), e a prendere impegni concreti.
Questo non è avvenuto, perché soltanto 33 dei 200 l’hanno effettivamente fatto: il compito è rimandato al 2023.

La COP27 ha ribadito l’obiettivo di non superare i +1,5 °C come stabilito a Glasgow, ma non il modo con cui arrivarci.
Si chiede la riduzione ma non l’eliminazione dell’uso del carbone (e non degli altri combustibili fossili come petrolio e gas) nonostante la richiesta arrivata da oltre 80 Paesi, a partire da India ed Europa.

 

Attività

Come la lingua italiana cambia!

Tutti, quale che sia la nostra preparazione, parliamo di alcuni fenomeni o abbiamo ormai acquisito alcuni nuovi termini nel nostro vocabolario, pensiamo alle parole ecosistema, biodiversità, riscaldamento globale, green economy, deforestazione, desertificazione.
Questo è il segno che è stata fatta una discreta divulgazione e quindi queste parole, semplificando il loro significato scientifico, sono diventate parole comuni.

Le nuove parole popolari della crisi climatica sono parole che già esistevano ma si sono specializzate, hanno acquisito nuovi significati. Tra queste abbiamo:

  • sostenibilità
  • ecoansia
  • criticità ambientale
  • resilienza
  • mitigazione
  • adattamento
  • transizione ecologica

Cerca il loro significato sul vocabolario, controlla la loro etimologia e spiega la nuova accezione dei termini.

 

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