, , ,

Legenda

Novità di primaria importanza che modificano il libro di testo
Aggiornamenti importanti che integrano il libro di testo
Dati, notizie e casi interessanti per fare lezione con l'attualità

  Cos’è il 41-bis?

L’espressione “41-bis” si riferisce ad un regime detentivo speciale disciplinato, appunto, dall’art. 41 bis, co. 2, della legge sull’ordinamento penitenziario (legge n.  354 del 26 luglio 1975).

In cosa consiste?

Il regime detentivo previsto dall’art.41-bis è particolarmente duro (per questo è spesso anche indicato come “carcere duro”).
Il co. 2 dell’art. 41-bis prevede che «il regime detentivo speciale comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle esigenze di ordine e di sicurezza e per impedire i collegamenti con le associazioni di appartenenza». Le restrizioni in cui consiste il regime, pertanto, devono essere razionalmente collegate al suo scopo preventivo: limitare le comunicazioni tra i detenuti e l’esterno. Si tratta, ad esempio di limitazioni nei colloqui, nelle telefonate e nella corrispondenza e nei rapporti con i detenuti. L’art. 41-bis prevede che i detenuti siano collocati in apposite sezioni, con specifiche «misure di elevata sicurezza interna ed esterna» e controllati «da reparti specializzati della polizia penitenziaria».

 

Quando si applica?

Si tratta di un regime detentivo riservato alle persone condannate per reati di criminalità organizzata, nei confronti dei quali sia accertata la permanenza dei collegamenti con le associazioni di appartenenza.
Per l’applicazione dell’art. 41-bis occorrono, dunque, due condizioni:

  • Una condizione oggettiva: il tipo di reato commesso. Il 41-bis si applica a chi è detenuto «per taluno dei delitti di cui al primo periodo comma 1 dell’art. 4-bis (delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, e delitti di mafia) o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso». I destinatari del regime detentivo speciale possono essere sia soggetti condannati con sentenza definitiva, sia soggetti in attesa di giudizio.
  • Una condizione soggettiva: occorre la presenza di «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica ed eversiva».

 

Chi lo applica?

I provvedimenti che applicano il 41-bis sono adottati con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministero dell’interno, previo parere del pubblico ministero che procede alle indagini, ovvero di quello presso il giudice che procede e dopo aver acquisito «ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e gli organi della polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze».

Il provvedimento ha durata di quattro anni e può essere prorogato se «risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno».

Sia contro il provvedimento di applicazione che contro quello di proroga è possibile proporre reclamo al Tribunale di sorveglianza di Roma. Contro l’ordinanza del Tribunale, è possibile proporre ricorso alla Cassazione per violazione di legge.

 

Quando è stata introdotta e perché?

Come si capisce già dalla sua numerazione, l’art. 41-bis è stato introdotto all’interno della legge sull’ordinamento penitenziario in un momento successivo alla sua approvazione (avvenuta nel 1975). L’invenzione del regime speciale disciplinato dall’art. 41-bis è opera del d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. in l. 7.8.1992, n. 356, ed è avvenuta nel pieno dell’emergenza delle stragi di mafia di Capaci e di via D’Amelio in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino e gli uomini delle loro scorte. La misura ha dunque un’origine emergenziale legata all’incapacità della detenzione ordinaria di neutralizzare la pericolosità di detenuti che continuavano ad esercitare il loro comando, in virtù dei legami con le associazioni criminali di appartenenza. Il regime introdotto dall’art. 41-bis serviva proprio a impedire le occasioni di contatto tra i detenuti e l’esterno nel tentativo di interrompere collegamenti con le associazioni.

Inizialmente, infatti, il 41-bis era stato introdotto con effetti temporanei (per tre anni dalla data di entrata in vigore del d.l. 8.6.1992. L’invenzione però funzionò e il Parlamento decise di renderlo permanente con la l. n. 270 del 22 dicembre 2002.

 

Il 41-bis e la Corte costituzionale

La durezza del regime penitenziario previsto dall’art. 41-bis ha presentato alla Corte molte problematicità, in riferimento all’art. 27 Cost., che prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Attenzione: la Corte costituzionale non ha mai censurato la legittimità del 41-bis, eppure si è impegnata nell’aggiustamento di alcuni dei profili più problematici della disciplina, fissando alcuni “paletti”.

 

Attività

Lavorando in piccoli gruppi, fate una breve ricerca su una delle sentenze della Corte costituzionale menzionate qui sotto, al link: https://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do

Indicate brevemente in che modo la Corte è intervenuta sul regime previsto dall’art. 41-bis.

  • Corte cost., sent. n. 143 del 2013
  • Corte cost., sent. n. 186 del 2018
  • Corte cost., sent. n. 18 del 2022

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed., vol. 3, p. 69ss.; p. 80ss.
  • Monti-Faenza, Res publica 4ed., p. 125
  • Monti, Per Questi Motivi, Vol. 3, p. 249

 

Tag: , ,