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  Licenziamento illegittimo: il lavoratore reintegrato ma demansionato ha diritto al risarcimento del danno. Ma a quale condizione?

Con l’ordinanza del 10 marzo 2020, n. 6750, la Corte di cassazione ricorda dei principi molto importanti in tema di reintegrazione del lavoratore a seguito di un licenziamento illegittimo.
Nello specifico l’ordinanza si pronuncia sul caso di un lavoratore licenziato illegittimamente che, a seguito della sentenza che accertava l’illegittimità del licenziamento, era stato successivamente reintegrato.
Tuttavia, il lavoratore non aveva riottenuto il ruolo che svolgeva precedentemente, ovvero direttore di agenzia di una banca, ma era stato demansionato (ovvero gli erano state assegnate mansioni inferiori rispetto a quelle che ricopriva o per cui era stato assunto). Non solo, la banca lo aveva anche costretto a una sostanziale inattività.
Sulla base dell’art. 2103 c.c. il datore di lavoro deve adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto o a mansioni che corrispondono a un inquadramento superiore che il lavoratore ha successivamente acquisito.
Inoltre, l’articolo 2087 c.c., stabilisce che il datore di lavoro deve tutelare l’integrità fisica e la personalità del lavoratore. La violazione da parte del datore di lavoro di questi obblighi, che nascono dal contratto di lavoro, si sostanzia in un inadempimento contrattuale.
Pertanto il demansionamento del lavoratore può far sorgere una responsabilità contrattuale in capo al datore di lavoro che lo obbliga a risarcire i danni subiti dal lavoratore. Quali danni?

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 24 marzo 2006 n. 6572, hanno precisato che i danni risarcibili sono:

  • Il danno professionale che consiste sia nell’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e della mancata acquisizione di competenze, sia nella perdita di chance quindi di ulteriori possibilità occupazionali o di guadagno.
  • Il danno biologico che si sostanzia in una lesione fisica o psicologica medicalmente accertabile.
  • Il danno esistenziale ovvero un danno all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine o alla vita di relazione; questo tipo di danno ha una natura non meramente emotiva ma deve concretizzarsi un cambiamento delle abitudini e nelle relazioni del lavoratore.

Tuttavia, perché il lavoratore ottenga il risarcimento del danno, non è sufficiente che dimostri il demansionamento e che chieda genericamente il risarcimento del danno ma dovrà dimostrate al giudice nello specifico quali danni ha subito.

Per quanto attiene al danno professionale, il lavoratore potrà per esempio dimostrare che la sua attività lavorativa è in continua evoluzione ed è caratterizzata da vantaggi connessi all’esperienza professionale che sono venuti meno a causa del demansionamento. Anche la perdita di chance va provata in concreto, indicando le aspettative che il lavoratore avrebbe potuto conseguire se non ci fosse stato il demansionamento.
Per provare il danno biologico è necessario un accertamento medico perché questo tipo di danno si configura tutte le volte in cui è riscontrabile una lesione dell’integrità psicofisica medicalmente accettabile.
Il danno esistenziale potrà essere dimostrato per esempio tramite le testimonianze di parenti o colleghi di lavoro.

Nell’ordinanza della Corte di cassazione di marzo di quest’anno, la Corte ha ritenuto che il lavoratore demansionato dalla banca ha diritto al risarcimento del danno biologico perché ha provato il danno subito con documentazione medica attestante la malattia provocata dal demansionamento. Tuttavia il lavoratore non potrà ottenere il risarcimento degli altri danni perché non sono stati provati e, come detto sopra, non può esserne ordinato il risarcimento con la sola prova del demansionamento ma è necessario una specifica dimostrazione dei danni subiti.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 1, pp. 162 ss.
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 2, pp. 347-349
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 1, pp. 578-580

 

 

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