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  Corte di Cassazione: gli atei hanno gli stessi diritti di propaganda dei credenti

Nel 2013 l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (UAAR) si vide respinta dal Comune di Verona la richiesta di poter affiggere dei manifesti perché «potenzialmente lesivi nei confronti di qualsiasi religione».
I manifesti contenevano la parola ‘Dio’ con la lettera D barrata da una crocetta e le successive lettere ‘io’ in corsivo, e sotto la dicitura, con caratteri più piccoli, “10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati, c’è l’UAAR al loro fianco». In basso a destra era riportato il logo e la denominazione dell’associazione.

La questione giunge fino alla Corte di cassazione che se ne occupa con l’ordinanza n. 7893 del 17 aprile 2020. Le argomentazioni della Corte muovono dall’art. 19 della Costituzione (libertà di professare il proprio culto e di farne propaganda) e dall’art. 21 Cost. (libertà di manifestazione del pensiero). Dal combinato disposto dei due articoli si ricava il diritto di fare propaganda religiosa come parte del più generale diritto di «professare liberamente la propria fede religiosa».
L’articolo 19 Cost. riconosce ampie facoltà ai fedeli di una determinata confessione religiosa, ma nulla dice espressamente della libertà di non averne alcuno. Tuttavia la Corte costituzionale, applicando la regola per cui ogni libertà costituzionale ha una componente negativa (intesa come libertà di non esercitarla) già dal 1979 aveva riconosciuto il più ampio concetto di «libertà di coscienza», dentro il quale rientrano sia la libertà religiosa assicurata dall’art. 19 Cost. che la libertà di opinione del non credente in quanto libera manifestazione del pensiero tutelata dall’art. 21 Cost.
La libertà di coscienza rappresenta infatti un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall’art. 2 Cost. e spetta, nella stessa misura, tanto ai credenti quanto ai non credenti. Inoltre, la libertà di coscienza è anche espressione del «principio di laicità» che impone allo Stato di non interferire sulle convinzioni religiose dei cittadini e di garantire parità nella protezione.

Dal punto di vista dell’ordinamento comunitario e internazionale, sia l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che l’art. 9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, contengono un espresso riferimento alla «libertà di pensiero, di coscienza e di religione» che include il diritto di professarsi ateo o agnostico.
Come ogni libertà, anche quella di fare propaganda dei propri convincimenti religiosi non è senza limiti. Un primo ed evidente limite lo incontra nel rispetto dell’altrui sensibilità religiosa.

Infatti l’articolo 403 del codice penale punisce la condotta di «chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa». Su questo punto la Corte di Cassazione si sofferma, ricordando il caso di un soggetto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 403 cod. pen. per aver realizzato ed esposto, nel centro di Milano, un manifesto pesantemente denigratorio raffigurante il Papa ed il suo segretario personale.
La Corte fa emergere l’evidente differenza che esiste fra l’oggetto di quel caso e il manifesto dell’UAAR (che si concreta nella mera cancellazione della lettera «D» dalla parola «Dio», seguita dalla scritta, peraltro in caratteri molto più piccoli, «10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati, c’è l’UAAR al loro fianco»). Sottolinea poi come costituisca una palese discriminazione in danno dall’associazionismo ateo la concessione di spazi per le affissioni ai fedeli di religioni «positive», e la negazione degli stessi a chi intenda pubblicizzare un’opzione religiosa «negativa».
In conclusione: si tratta di una decisione molto interessante perché sottolinea la pari libertà di tutte le persone che si riconoscono in una fede o in una posizione atea o agnostica di farne libera professione. E riconosce il diritto dei non credenti di fare propaganda delle loro idee nelle forme che ritengano più opportune, purché non denigrino la fede altrui.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Monti – Faenza, Res publica 4ed, p. 111, 115, 129, 130
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3, p. 88, 98

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