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  Cassazione: il marito che firma il testamento olografo della moglie è indegno a succedere

L’articolo 462 c.c. esclude dall’eredità le persone “indegne”, cioè coloro che hanno commesso atti gravi contro il defunto o i suoi parenti prossimi. Rientrano nei casi di indegnità a succedere: l’aver soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata (art. 462 n. 5 c.c.); e l’aver formato, o fatto consapevolmente uso, di un testamento falso (art. 462 n. 5 c.c.).

Il caso in esame riguarda un marito che ha datato e firmato il testamento olografo redatto dalla moglie.
In primo grado il Tribunale dichiarò nullo il testamento ma non l’indegnità a succedere del marito perché ritenne che l’indegnità a succedere si configuri soltanto quando l’alterazione va a incidere su un testamento valido ed efficace. Invece, nel caso in esame, il testamento era di per sé già nullo perché non sottoscritto dalla defunta.
Gli eredi proposero appello contro la sentenza di primo grado chiedendo che fosse dichiarata l’indegnità a succedere del marito e che conseguentemente lo stesso fosse escluso dalla successione della moglie.

La Corte d’appello accolse le richieste degli eredi e dichiarò l’indegnità a succedere del marito nei confronti della defunta, con la sua conseguente esclusione dalla relativa successione.
Secondo la Corte d’appello il caso non poteva essere ricondotto nell’ambito disciplinato dall’art. 463 n. 5 c.c., ma doveva essere riferito alla diversa ipotesi prevista dall’art. 463 n. 6 c.c.: che regola il caso della formazione o dell’uso consapevole di un testamento falso.
La Corte d’appello ha ritenuto infatti che si è in presenza di un testamento falso anche nel caso in cui venga apposto a un documento (anche se scritto dal testatore) una firma e/o una data da parte di persona diversa da quest’ultima, trattandosi in questo caso di un documento non configurabile come testamento per mancanza di elementi considerati essenziali a norma dell’art. 602 c.c.
Inoltre la Corte d’appello ha sottolineato che il marito non aveva fornita la prova, che grava su chi ha posto in essere una condotta riconducibile a uno dei casi d’indegnità, che le ultime volontà della defunta corrispondessero alle disposizioni contenute nel testamento.

Il caso è stato sottoposto all’attenzione della Corte di cassazione facendo notare, in primo luogo, che il marito non avrebbe ricevuto alcun vantaggio dalle disposizioni testamentarie (il testamento infatti lasciava a quest’ultimo solo l’usufrutto dei beni e una quota di proprietà di un magazzino, privandolo della proprietà di tutti gli altri beni immobili) e, in secondo luogo, che l’indegnità a succedere non deriva solo dalla falsificazione di un testamento o dal consapevole uso della stessa ma anche dalla divergenza tra il contenuto del testamento e volontà del defunto. In risposta la Corte di cassazione ha fatto notare come in realtà, nei precedenti gradi di giudizio, era stato applicato correttamente il principio secondo il quale la formazione o l’uso consapevole di un testamento falso è causa d’indegnità a succedere se colui che viene a trovarsi nella posizione d’indegno non prova di non aver inteso offendere la volontà del defunto.
In definitiva la Corte di cassazione ha ribadito la necessità di provare che il contenuto del testamento corrisponde alle effettive intenzioni del defunto. Il marito è quindi stato ritenuto indegno a succedere perché non ha fornito la prova sulla corrispondenza delle disposizioni contenute nel testamento alle effettive ultime volontà della defunta.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 1, pp. 256 ss.

 

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