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  La madre non biologica unita civilmente con la madre biologica può registrare nell’atto di nascita il bambino come suo figlio?

La legge sulla procreazione medicalmente assistita – PMA (n. 40 del 2004) precisa che possono accedere alle tecniche di PMA coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi, quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione. Sono pertanto escluse le coppie omosessuali. Si tratta di una discriminazione?

Nel 2019 la Corte costituzionale si è pronunciata sul punto con la sentenza 23 ottobre, n. 221, ritenendo che escludere l’accesso alla procreazione medicalmente assistita a coppie formate da persone dello stesso sesso non sia fonte di discriminazione basata sull’orientamento sessuale. L’infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale, secondo la Corte, non è equiparabile a quella, assoluta e irreversibile, propria della coppia eterosessuale affetta da patologie che non permettono la procreazione.

Il Tribunale che aveva sollevato la questione di costituzionalità aveva inoltre ritenuto che la normativa sulla procreazione medicalmente assistita desse luogo a una ingiustificata disparità di trattamento sulla base delle capacità economiche. Secondo il Tribunale infatti, alcuni Paesi consentono la procreazione medicalmente assistita anche alle coppie formate da due donne, ma non tutti possono sostenere i costi necessari per recarsi all’estero al fine di diventare genitori.
La Corte costituzionale però ritiene che il solo fatto che il divieto contenuto nella legge italiana possa essere eluso recandosi all’estero, non è una valida ragione per considerare tale divieto contrario alla Costituzione italiana, perché altrimenti vorrebbe dire che l’ordinamento giuridico italiano dovrebbe sempre allinearsi alle scelte estere per evitare una lesione al principio di eguaglianza.

Al di là della costituzionalità del divieto, resta il fatto che una coppia omosessuale può andare all’estero e precedere alla procreazione medicalmente assistita, in particolare alla fecondazione eterologa (che si si verifica quando il seme oppure l’ovulo provengono da un soggetto esterno alla coppia). In alcuni Stati infatti, come Belgio, Danimarca o Spagna, anche le coppie omosessuali possono accedere a queste tecniche di procreazione. Ed ecco che sorge il tema del riconoscimento dello status di genitore alla madre non biologica del bambino nato in Italia a seguito di queste pratiche.

Di recente si è posto il caso è di una donna, unita civilmente a un’altra, che mediante tecniche di fecondazione eterologa aveva concepito all’estero un figlio poi nato in Italia.
La disciplina italiana permette di registrare nell’atto di nascita solo la madre biologica del bambino, escludendo l’unita civilmente.
Secondo il Tribunale di Venezia questa disciplina viola i diritti della madre non biologica e del bambino, operando una irragionevole discriminazione per motivi di orientamento sessuale. Il Tribunale ha quindi sollevato questione di legittimità costituzionale in merito alla legge sulle unioni civili e al decreto sugli atti dello stato civile.
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte, con un Comunicato del 21 Ottobre 2020, ha fatto sapere che le questioni sono state dichiarate inammissibili.
La Corte però ha enfatizzato la necessità che sia il legislatore ad intervenire in questa materia, perché quando la Costituzione ammette diverse opzioni normative (in particolari materie eticamente sensibili) la scelta spetta al legislatore.
Il riconoscimento dello status di genitore alla cosiddetta madre intenzionale (ovvero la madre non biologica), all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente, non risponde a un precetto costituzionale ma comporta una scelta discrezionale, quindi riservata al legislatore, come interprete del sentire della collettività.

Ma, quindi, la madre intenzionale non potrà diventare mamma del bambino?
L’articolo 44 della legge n. 184 del 1983 all’interno dell’adozione in casi particolari disciplina la cosiddetta stepchild adoption, ovvero l’adozione del “figliastro”. Con la sentenza n. 12962 del 2016, la Corte di cassazione ha riconosciuto la possibilità di procedere alla stepchild adoption a coppie omosessuali in Italia, confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma del dicembre 2015, con la quale era stata accolta la domanda di adozione di una minore proposta dalla partner della mamma biologica della bambina. Si tratta comunque di un riconoscimento che non viene fatto in automatico ma che richiede una rigorosa indagine svolta dal giudice, perché l’adozione deve realizzare effettivamente il preminente interesse del minore.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli: 

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 1, pp. 242 ss, 246 ss.
  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, p. 57

 

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