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  Quantitative Easing: il Tribunale costituzionale tedesco avverte l’Unione Europea

Alcune premesse

  1. Il Tribunale costituzionale federale tedesco ha elaborato una dottrina, che ormai ha ricevuto diverse applicazioni, secondo cui riconosce a sé stesso il ruolo di guardiano dei confini delle competenze attribuite dall’ordinamento costituzionale tedesco all’Unione Europea. In particolare, il Tribunale ha da sempre mostrato una sensibilità particolare a protezione della competenza nazionale in materia di politica economica, secondo un atteggiamento che radici riconducibili fino al periodo della nascita della moneta unica, che la Germania accettò solo a fronte della possibilità di poter giungere alla riunificazione, e che comunque condizionò espressamente al fatto che non fossero attribuiti all’Unione poteri di politica economica.
  2. La sentenza in questione non è direttamente relativa all’emergenza coronavirus, ma ha un fortissimo impatto a cascata sul programma, del tutto analogo a quello oggetto della sua pronuncia, adottato il 18 marzo 2020 per far fronte alla crisi economico determinata dalla diffusione del Covid-19. Il giudice costituzionale tedesco infatti elabora una regola di diritto che è applicabile anche al Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) di cui avevamo parlato nel numero precedente.
  3. PSPP e PEPP sono infatti due misure (diverse e adottati in riferimento a crisi diverse) di Quantitative Easing, uno strumento di politica monetaria con cui le Banche Centrali, per proteggere il sistema economico di un Paese dalle turbolenze dei mercati finanziari in momenti di crisi strutturale, acquistano titoli di Stato. In questo modo aumentano la quantità di denaro a disposizione degli istituti di credito di quel Paese, che avranno maggiore liquidità per concedere prestiti a privati e imprese. Il PEPP, in particolare, che diventa indirettamente oggetto di questa pronuncia, è un programma di acquisto di titoli di debito pubblico, privi di condizionalità e non legati alle quote detenute da ciascuno Stato membro nell’azionariato, adottato dalla BCE per sostenere le economie dei Paesi maggiormente colpiti dall’emergenza sanitaria di questi mesi.

Dentro la sentenza.
La sentenza del 5 maggio sorge dal ricorso interno con cui veniva richiesto al Tribunale costituzionale tedesco di dichiarare l’illegittimità del PSPP: (1) per violazione del «divieto di finanziamento monetario dei bilanci pubblici» (ex art. 123 TFUE) e (2) perché la BCE avrebbe ecceduto la propria competenza in materia di politica monetaria adottando una misura capace di avere un impatto molto forte in materia di politica fiscale (violando gli artt. 119 e 127 TFUE).
Il Tribunale ha respinto il primo profilo di illegittimità, su cui pertanto non ci soffermeremo, mentre ha accolto il secondo. A questo punto occorre una precisazione: se l’obiettivo del ricorso presentato al Tribunale è la decisione della Banca Centrale Europea (BCE), il bersaglio della sentenza è anche – e soprattutto per la verità – la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a cui il giudice tedesco si rivolge con toni inediti per quanto accesi e diretti.

Ridotta ad estrema sintesi, la pronuncia della Corte tedesca si compone di due decisioni: di cui una è diretta conseguenza dell’altra. Anzitutto considera illegittimo il PSPP, ritenendo che con esso la BCE avrebbe ecceduto la propria competenza (violando gli artt. 119 e 127 TFUE).
Il tema di questo primo punto riguarda il confine tra politica monetaria (rimessa alla conduzione della Banca Centrale Europea) e politica economica e fiscale (riservata alla competenza degli stati membri). E l’argomento principale della Corte tedesca sta proprio nel fatto che la portata del programma di Quantitative Easing del 2015 avrebbe ecceduto l’ambito della politica monetaria, determinato un impatto diretto e forte sulle condizioni di politica fiscale ed economica in cui operano gli Stati membri, introducendosi pertanto in uno spazio riservato alla loro competenza.

Soprattutto però il giudice costituzionale tedesco censura, e dichiara di non ritenere vincolante, la sentenza del 2018 con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha giudicato conforme al diritto europeo tale programma, ritenendo che l’esito di conformità a cui essa è giunta sia il frutto di un errore di utilizzo del principio di proporzionalità, e ordinando pertanto alla Bundesbank di astenersi dal comprare titoli nell’ambito del programma della BCE.

Il Tribunale costituzionale tedesco ha dunque aperto uno scontro frontale soprattutto con la CGUE, e lo ha però anche rimandato, perché ha contestualmente sottoposto la sua decisione ad un “transitional period“: ha dato cioè alla BCE tre mesi per fornire maggiori informazioni sul programma da essa varato e ha stabilito la sospensione degli effetti della propria sentenza fino al 5 agosto, data entro cui si aspetta di riceverle e in cui deciderà definitivamente sulla legittimità del PSPP (con evidenti ricadute per il PEPP).
Alla sentenza del Tribunale costituzionale tedesco ha risposto pochi giorni dopo, e con toni altrettanto accesi, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, mediante una nota del proprio Ufficio di Comunicazione.

 

Gli effetti

Ciò che sta dietro la decisione del Tribunale costituzionale tedesco, è piuttosto chiaro: se si vuole controllare lo spread di alcuni Stati membri, si ha a disposizione lo strumento (di matrice internazionale pattizia) del MES. L’effetto principale di questa sentenza potrebbe andare proprio in questa direzione, determinando cioè una modifica in senso restrittivo della misura adottata dalla BCE e la preferenza per strumenti diversi, ciò che avrebbe conseguenze drammatiche soprattutto per gli Stati con un alto rapporto debito pubblico/PIL. E l’Italia è sicuramente uno di questi.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli: 

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4 ed, vol. 3, pp. 426-427; 439-441
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4 ed, vol.2, p. 390
  • Righi Bellotti – Selmi, Il mondo dell’economia, vol. 2, pp. 309
    312; 316
  • Righi Bellotti – Selmi, Economia globale 2 ed, vol. 2, pp. 312; 316

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